Secondo le stime dell’Eurostat diffuse ieri, l’Eurozona è entrata ufficialmente in recessione per la seconda volta da quando è scoppiata la grande crisi mondiale. Sono due trimestri consecutivi, infatti, che il Pil dell’area della moneta unica diminuisce congiunturalmente.
Nel secondo trimestre di quest’anno l’economia era arretrata dello 0,2% rispetto al primo, mentre nel terzo trimestre è andata indietro di un altro 0,1% rispetto al secondo. Vanno male le economie di Grecia, Portogallo, Spagna, Italia, ma anche di Olanda e Belgio, mentre rallentano le stesse Francia e Germania. Sicché l’Eurozona è ricaduta in quella che gli economisti definiscono convenzionalmente una recessione, quando cioè il prodotto lordo diminuisce per due trimestri di seguito. Era già successo nel 2009, quando la crisi internazionale originò dallo scoppio della «bolla» americana dei mutui subprime. Sta capitando di nuovo ora, in particolare in Europa, a causa delle politiche di austerità resesi necessarie per arginare la febbre dei debiti sovrani. Dunque si è materializzato il temuto spettro del «double dip», cioè di una doppia caduta ravvicinata del Pil a distanza di poco tempo, a dimostrazione che la temporanea ripresa del 2010-2011 era fragile e che l’Eu-rozona, in special modo, restava vulnerabile. Gli unici veri strumenti messi in campo sinora per rafforzare l’Europa di fronte alla crisi li ha creati la Bce, specie da quando Mario Draghi ne ha assunto il comando. E il presidente della Bce ha tenuto ieri all’università Bocconi un importante discorso. Egli ha sottolineato sia i punti scoperti di un’Eurozona che resta tuttora molto incerta di fronte alla crisi e agli attacchi speculativi alla moneta unica, sia le nuove leve di cui la stessa area dell’euro oggi dispone per emergere «rinvigorita dalle difficoltà del momento». Tra queste le cosiddette Omt (Outright monetary transactions), cioè potenziali acquisti illimitati della Bce di titoli di Stato di Paesi in chiara fase di risanamento ma ciò nonostante esposti a nuovi attacchi della speculazione. Uno strumento, più noto come scudo anti-spread, fortemente voluto da Draghi e dal suo direttivo, accettato alla fine anche dal cancelliere tedesco Angela Merkel, con la sola opposizione della Bundesbank. Draghi ha difeso la sua creatura, essenziale per il ristabilimento di una corretta trasmissione della politica monetaria, spiegando che le Omt non saranno dei finanziamenti dissimulati ai governi da parte della Bce (poiché eventuali acquisti awerranno non al momento dell’emissione ma sul mercato secondario). Inoltre, le Omt non metteranno a repentaglio l’indipendenza della Bce, non creeranno rischi eccessivi per i contribuenti né inflazione e saranno rigorosamente condizionate al proseguimento delle riforme nei Paesi che ne chiederanno l’intervento. Draghi non ha mancato di ricordare la lezione di Tommaso Padoa-Schioppa e di ribadire l’irreversibilità dell’euro. L’euro, ha detto Draghi citando Padoa-Schioppa, è come quell’uccello australiano simile allo struzzo, chiamato Emu (guarda caso le iniziali di European monetary union) che può solo correre in avanti e non andare indietro. A nostro avviso, però, per molto tempo l’Eurozonaè somigliata più allo struzzo che posa la testa sulla sabbia sperando che ciò possa essere sufficiente per essere al sicuro. Prima, nell’era delle vacche grasse, i Paesi più deboli si sentivano tranquilli e hanno colpevolmente trascurato di affrontare i loro problemi strutturali che poi sono esplosi durante la crisi. Poi, a crisi iniziata, sono stati i Paesi più forti e convinti di essere invulnerabili, Germania in primis, a prescrivere a quelli più deboli una cura troppo invasiva, in cui l’obiettivo sacrosanto del riordino delle finanze pubbliche è stato spinto a tal punto in avanti da provocare una recessione durissima e da mettere in pericolo gli stessi traguardi di riequilibrio finanziario. Il problema è che la cura draconiana è stata applicata non solo alle economie periferiche «quasi fallite» come Grecia e Irlanda ma anche a malati difficili ma più facilmente guaribili come Spagna e Italia che sono stati anch’essi spinti in recessione più del necessario. Con la conseguenza che quando si fermano i Pil e i consumi di due grandi Paesi come Spagna e Italia non può che fermarsi l’Europa tutta, compresa la Germania stessa che ha in Madrid e Roma due grandi mercati dei propri prodotti. Prova ne è che nei primi otto mesi del 2012 l’Italia ha importato 1,6 miliardi di euro di auto tedesche in meno rispetto allo stesso periodo del 2011. Non è forse un caso che nel suo discorso Draghi abbia dedicato un passaggio chiave anche al tema del binomio rigore-crescita, vale a dire, per usare le sue parole, «alla forma che deve avere il consolidamento fiscale ideale, cioè quello che riduce il deficit e il debito con le minori conseguenze negative sul prodotto di un Paese».
Il Messaggero – 16 novembre 2012