Paolo Russo. Le corsie degli ospedali si svuotano, i concorsi vanno deserti e così nei nostri nosocomi si ricorre sempre più ai medici “a gettone”. A volte giovani neo-laureati senza esperienza. Altri dottori che hanno appeso il camice al chiodo, richiamati in servizio per tappare i buchi. Pagati dai 60 fino a 90 euro l’ora. Secondo un rapporto di due anni fa, dell’Enpam, l’ente previdenziale dei medici, con ’Eurispes, nella sanità pubblica operano 35mila precari, dei quali 10mila esterni, retribuiti appunto “a gettone”. «Ma il numero è in crescita perché nei nostri ospedali mancano 10 mila medici e altri 40 mila lasceranno nei prossimi 10 anni, anche sotto la spinta di quota 100», denuncia Carlo Palermo, segretario nazionale dell’Anaao, il sindacato dei camici bianchi ospedalieri.
Il ricorso ai “gettonisti” è oramai la regola in Piemonte, ma se ne fa spesso ricorso in Veneto, Lombardia e nel Nord in genere. Gli ospedaloni romani preferiscono coprire i buchi chiamando i medici già dipendenti a fare turni aggiuntivi pagati 60 euro l’ora. Nella capitale lo scorso anno si è speso un milione e 300 mila euro per anestesisti, chirurghi, radiologi, pediatri e medici di urgenza. Che sono poi quelli dei quali c’è maggiore penuria un po’ in tutta Italia. Anche all’ospedale Sacco di Milano si chiamano i medici a cottimo per fare le notti al pronto soccorso. La paga: 600 euro a turno. Ma i dottori interni non bastano e così si ricorre anche a professionisti esterni, spesso giovani senza esperienza. «Stiamo regalando interi pezzi del nostro sistema sanitario al privato, arrivando a pagare per un solo turno di 12 ore mille euro e mettendo a rischio la sicurezza delle cure, perché la qualità dell’assistenza non può essere garantita quando il medico non è inserito stabilmente in una equipe di professionisti e non conosce l’organizzazione interna dell’ospedale», lamenta sempre Palermo.
Il sogno
Intanto i gettonisti si sfregano le mani. Una delle principali società di reclutamento è la Medical line consulting, con sede a Roma, ma attiva in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lazio, con 250 dottori pagati fino a 90 euro l’ora. «E’ un sogno – commenta un 30enne, senza specializzazione – decido io quando e quanto lavorare e con 10 turni al mese guadagno il doppio di un dipendente». Tutto questo in barba alla direttiva europea recepita dall’Italia solo sulla carta, che imporrebbe un riposo giornaliero di almeno 11 ore.
Di medici non specializzati pescati da cooperativi o presi “a chiamata” si fa ricorso anche nei pronto soccorso, sovraffollati di pazienti ma non di dottori. Secondo Simeu, la Società scientifica della medicina di emergenza, i medici a tempo determinato che lavorano nei pronto soccorso sono circa 5.800 ai quali se ne aggiungono 1.500 a gettone. Che non riescono comunque a turare le falle. Spiega Francesco Rocco Pugliese, presidente Simeu: «Sono oltre 4 milioni le visite mediche che gli attuali organici effettuano in sovraccarico rispetto agli standard internazionali. Se nel 2001 ogni medico poteva dedicare 26 minuti a un paziente ora si è scesi a 11, nemmeno il tempo di un caffè».
«Le aziende sanitarie hanno sempre più difficoltà ad assumere perché gli specializzati scarseggiano, così si usano cooperative o professionisti singoli che a chiamata coprono soprattutto i turni festivi e le guardie notturne», ammette Mario Giacomazzi, coordinatore dell’osservatorio politiche personale della Fiaso, la Federazione di asl e ospedali. «Per risolvere il problema occorrerebbe formare almeno 3mila specialisti in più l’anno». Intanto il decreto semplificazione ha aperto le porte all’assunzione dei medici all’ultimo anno di specializzazione. Una toppa provvidenziale, secondo medici e manager asl, ma non così grande da coprire la falla.
La Stampa