È illegittimo il licenziamento per abbandono del posto di lavoro se il codice disciplinare aziendale richiede, per rendere lecito l’atto del datore di lavoro, una condizione in più, vale a dire che il comportamento del lavoratore abbia determinato un danno o pericolo all’azienda o a persone e tale presupposto manchi nel caso specifico.
È questo il principio stabilito dalla sentenza 4197 del 20 febbraio 2013 della Cassazione civile, sezione lavoro.
Il caso concerne un dipendente di una società cooperativa, che, durante l’attività lavorativa, lascia, improvvisamente, il posto di lavoro, esce dall’azienda e viene, di conseguenza, licenziato. Il lavoratore impugna l’atto del datore di lavoro di fronte al giudice sostenendo, a sua giustificazione, di essersi dovuto recare in ospedale per rimuovere un corpo estraneo dall’occhio e, comunque, di avere comunicato l’uscita al proprio superiore. Il tribunale dà ragione alla società e conferma il licenziamento.
Il licenziato si rivolge, allora, alla Corte d’appello, che rovescia la decisione di primo grado, ritenendo illegittimo il licenziamento: secondo i giudici, il lavoratore era ricorso, effettivamente, a cure mediche, aveva segnalato il suo allontanamento al suo superiore e non aveva determinato, con la sua condotta, né interruzione nel ciclo produttivo aziendale né, come richiesto per la liceità del licenziamento dalla specifica regolamentazione aziendale, danno o pericolo a cose o a persone.
Ma la società ricorre in Cassazione. La Suprema corte chiarisce, in via preliminare, che il suo controllo può riguardare solo la correttezza giuridica, la coerenza logico-formale e le argomentazioni della sentenza di appello, ma non le valutazioni di merito.
Approfondendo, poi, il ragionamento dei giudici di merito, la Cassazione riconosce, in primo luogo, che essi hanno riscontrato, nel caso specifico, che si era verificato un infortunio sul lavoro, avvalorando così le affermazioni del lavoratore circa l’esistenza di una situazione di emergenza. In secondo luogo, la Corte d’appello ha tenuto presente il principio in base al quale un licenziamento è giustificato solo se la condotta del lavoratore fa venir meno la fiducia del datore nell’esattezza delle future prestazioni.
Altrettanto corretta è – secondo l’interpretazione della Cassazione – la lettura dei giudici in base alla quale, nel caso specifico, la disciplina aziendale richiede, a giustificazione del licenziamento, un inadempimento che comporti anche pregiudizio o pericolo a persone o a beni aziendali, circostanza che, in sede di merito, non era stata ritenuta, poi, sussistente.
Secondo la Cassazione il ricorso è, dunque, da rigettare e la società deve pagare le spese del giudizio.
Il Sole 24 Ore – 4 marzo 2013