Niente tagli nei ministeri alla voce acquisti, salasso per Regioni e Comuni. Dovevano essere il fulcro della spending review post-Cottarelli, invece i bilanci dei ministeri alla voce “beni e servizi” non solo non sono stati ridotti ma registrano un incremento di 300 milioni di euro di spese. Gli enti locali dovranno invece fare a meno di 5 miliardi. La legge di stabilità finirà dunque per pesare quasi esclusivamente lontano dallo Stato centrale. I dicasteri hanno risparmiato su incentivi e personale ma non sulle voci più caratteristiche della spending review. Quando è stato chiaro che il commissario venuto da Washington sarebbe tornato al Fondo monetario, il governo aveva fatto sapere che i miliardi di necessari risparmi sarebbero stati ottenuti decurtando in percentuale i bilanci dei ministeri. Si trattava ovviamente di un’approssimazione, perché lo Stato centrale è solo una parte e nemmeno la più estesa del complesso delle amministrazioni pubbliche e dei suoi oltre 800 miliardi di spesa l’anno.
E dunque era chiaro che Regioni, province e Comuni sarebbero state coinvolte. Come in effetti sono state, con disappunto in particolare dei presidenti regionali.
Anche i ministeri, che dello Stato centrale sono il pezzo più rilevante, hanno dato il proprio contributo: che però non si nota osservando la voce più caratteristica ai fini della revisione della spesa, quella relativa agli acquisti di beni e servizi. Nel gergo del bilancio pubblico, si parla di “consumi intermedi”. Nel totale delle amministrazioni pubbliche per il 2015 questa voce viene ridotta con la legge di Stabilità da circa 128,1 miliardi tendenziali a 122,9 miliardi programmatici (ossia posti come obiettivo dal governo). Il risparmio è quindi di oltre 5 miliardi, con una variazione percentuale negativa del 4 per cento. Questo risultato però non è ripartito in modo uguale su tutte le componenti dello Stato: cosa che sarebbe abbastanza logica in valori assoluti, visto che gli acquisti delle amministrazioni locali valgono circa sei volte quelle delle amministrazioni centrali, comprendendo tra l’altro anche la spesa sanitaria affidata alle Regioni.
Stavolta però la differenza salta agli occhi perché nel caso dello Stato centrale c’è addirittura un segno positivo: la spesa aumenta di quasi 300 milioni, ovvero del’1,4 per cento. Gli enti territoriali invece si vedono applicare con la manovra un calo dal tendenziale al programmatico di 5,3 miliardi, ossia tutto il risparmio complessivo e anche qualcosa di più. Nella realtà la sostanza di questi tagli deve essere ancora decisa, visto che è ancora in corso un confronto con il governo, ed in ogni caso il sacrificio dovrà essere ripartito tra i vari enti interessati, a partire dalle Regioni.
I ministeri invece hanno perduto con la legge di Stabilità circa 2 miliardi, che però non sono relativi ad acquisti di beni e servizi (se non in minima parte) ma ad altre voci quali spese per i dipendenti, incentivi alle imprese, trasferimenti e così via.
LE USCITE TOTALI
Se si guarda infine al totale della spesa corrente (a parte gli interessi sul debito pubblico) emerge ugualmente una differenza di segno tra amministrazioni centrali, le cui uscite programmatiche aumentano rispetto ai valori tendenziali, e quelle locali, che invece registrano un calo di oltre sette miliardi. Ma in questo caso bisogna tener conto del fatto che pesano sullo Stato centrale una serie di interventi di politica economica fortemente voluti dal governo: non solo spese vere e proprie, come quelle relative al finanziamento dei nuovi ammortizzatori sociali o all’assunzione dei precari della scuola, ma anche i 9,5 miliardi del bonus fiscale da 80 euro, che in base alle regole contabili sono registrati come spesa sociale e non come riduzione di imposta.
Luca Cifoni – Il Messaggero – 10 novembre 2014