«Stiamo parlando di una calamità naturale, non di un semplice temporale». L’assessore regionale alla Protezione Civile, Gianpaolo Bottacin, volge lo sguardo intorno a sé mentre pronuncia queste parole. Di fronte a lui c’è uno schieramento di mezzi che rende solo in parte l’idea di ciò che è accaduto lassù, sulle montagne. All’aeroporto di Belluno sono appena arrivate squadre dalla Lombardia e da Loreto, nelle Marche, in supporto ai colleghi veneti. E fa un certo effetto vedere qui, nelle Prealpi, quegli stessi uomini che due anni fa scavarono fra le macerie del «loro» terremoto, nel centro Italia. Una colonna dell’Esercito, giunta nella notte dall’Emilia Romagna, è invece al lavoro nell’Agordino, tagliato fuori da tutto. «Stanno operando oltre 1.500 fra uomini e donne», spiegano alla centrale dei soccorsi. Uno schieramento di volontari, vigili del fuoco e militari che, da queste parti, non si vedeva dai tempi della catastrofe del Vajont.
Sono le 15.30 quando Bottacin fa il punto della situazione nel Bellunese. Di fatto un bollettino di guerra. Sono molte, infatti, le frazioni ancora irraggiungibili e rimaste senza luce, telefono e acqua. A Mas di Sedico, la piena del Cordevole ha provocato il crollo di un edificio (vuoto) già venuto giù nel 1966. Fra Belluno e Vigo di Cadore, le ispezioni aeree dei vigili del fuoco hanno mostrato un Piave impetuoso che laddove poteva allargarsi e mangiare il terreno l’ha fatto. Si vedono aziende distrutte dal vento, case scoperchiate, smottamenti, strade bloccate da alberi, fango e ghiaia, cavi dell’alta tensione che penzolano inermi. Una situazione drammatica.
Gli sfollati avevano superato i 200, ieri sono scesi a 130. Ma migliaia sono le abitazioni e le imprese ancora al buio, sebbene in calo: si è passati dalle 113 mila di lunedì, alle 83 mila ieri mattina, fino alle 74 mila nel pomeriggio. Comunque un’enormità. «Purtroppo la situazione è grave – spiega il presidente della Provincia, Roberto Padrin –. Il problema è di Terna e di Enel. Si fatica a raggiungere le stazioni e sono caduti molti tralicci. Il problema dovrebbe risolversi in un paio di giorni, ma non è possibile che accadano cose del genere: è una questione che dovremo affrontare». Concorda l’assessore Bottacin, sebbene non ritenga utile l’interramento delle linee richiesto spesso da queste parti: «Non possiamo disboscare le montagne. E comunque, in caso di frana, sarebbe molto più rapido tirare su un cavo che ripristinare un condotto sotterraneo».
La mancanza di luce è, in assoluto, il problema che ha coinvolto più persone. Lo sanno anche negli ospedali: quelli di Agordo e di Pieve di Cadore sono rimasti senza energia elettrica. Ma mentre a Pieve è stato possibile rifornire i generatori, ad Agordo – isolata – si era profilata un’ipotesi estrema, poi accantonata: sfollare i pazienti con gli elicotteri. «D’altro canto non si può trasportare il gasolio per via aerea». Anche gli ospedali di Feltre e Belluno hanno subito danni per il vento, ma sono rimasti operativi.
E con la corrente, sono saltati anche i ripetitori telefonici: quasi impossibile usare i cellulari a Longarone, nell’Agordino, in Val Zoldana. «Miliardi di satelliti e sembra di stare negli anni ‘50» si commentava, ieri mattina, a Longarone. Dove i blackout, le strade bloccate, talvolta la mancanza d’acqua hanno paralizzato un po’ tutto: difficile anche acquistare un panino al bar, visto che le consegne di derrate si sono pressoché bloccate. «E al supermercato stanno esaurendo anche l’acqua minerale».
Già, anche Longarone lunedì sera se l’è vista brutta. «Il vento sembrava un terremoto», afferma Silvia, titolare del Central Bar. L’epicentro del disastro, qui, è la frazione di Pirago, colpita da una vera e propria tromba d’aria. Quasi ogni abitazione è stata lesionata, il cassone di un furgone è stato sollevato e scaraventato a 200 metri di distanza. Per le strade, auto danneggiate e frammenti di tegole dappertutto. «Ho 77 anni, mai capitato niente del genere» racconta Maria, mentre tenta di sistemare il cortile. A breve verrà il momento di calcolare i danni: per sole strade provinciali bellunesi (in parte ancora chiuse: l’Agordina dovrebbe essere riaperta stamani) si parla di qualche decina di milioni. «Ma – sibila qualcuno – è una stima prudenziale».
corveneto