Giovane, cattolica, figlia della Roma Bene. Ha dichiarato guerra alla burocrazia e, da settembre, dovrà definire la riforma della PA. E’ vicina a Veltroni, amica di D’Alema e ha conquistato Renzi. Ma si è fatta molti nemici. Ecco perché c’è chi vorrebbe che fallisse. Anche nel Pd
DI EMILIANO FITTIPALDI. In pellegrinaggio a Medjugorie Marianna Madia c’è andata cinque volte, pregando la Madonna dei veggenti e cantando l’inno santo dedicato a “Emmanuel”, nome con cui San Matteo chiama Gesù Cristo. «Non ho mai sperato nel miracolo, non volevo certo ingraziarmi Maria», ha scritto a “Sette” qualche giorno fa descrivendo la sua «vacanza ideale». La ministra che ha sostituito Renato Brunetta alla Funzione pubblica, però, avrà presto bisogno di un evento soprannaturale. O di qualcosa che ci vada molto vicino.
La Giovanna D’Arco di Matteo Renzi, bibbia nella borsa e iPad nella mano, ha deciso che dopo le ferie passate con marito e i due pargoletti comincerà a far sul serio, e proclameràguerra totale alla burocrazia. Un mostro fin dall’etimologia (la parola coniata nel ’700 dall’economista francese Vincent de Gournay è la fusione del francese “bureau” – ufficio – e del greco “kratos”, cioè potere) che in Italia è diventata metafora perfetta dei ritardi del Paese. Dirigenti incapaci e inamovibili, sprechi miliardari, dipendenti improduttivi, enti inutili e pletorici, servizi da Terzo mondo: il governo ha annunciato di “rivoluzionare” la pubblica amministrazione, una delle zavorre più pesanti per la crescita del Paese. «Stavolta non guarderemo in faccia a nessuno, lobby, sindacati confederali, consiglieri di Stato o magistrati che siano», ripete la Madia da mesi. Così, dopo aver approvato a inizio agosto un decreto legge assai deludente, tutti aspettano il giovane ministro al varco: a inizio settembre il disegno di legge delega che dovrebbe modificare la vita dei nostri travet (sono secondo l’Istat 2,8 milioni, sparsi in 12 mila enti) e quella dei cittadini dovrebbe infatti approdare al Senato. Le parole d’ordine sono le solite: staffetta generazionale, limiti ai compensi dei dirigenti, taglio di prefetture, digitalizzazione, semplificazione.
La leader della Cgil teme un autunno caldo e attacca la proposta del ministro della Pubblica Amministrazione. E all’Espresso spiega quali sono le sue ricette
L’impresa è improba per chiunque. Da Sabino Cassese a Brunetta, passando per il giurista Luigi Mazzella e Franco Bassanini, sono una mezza dozzina i professori che nelle ultime due decadi hanno tentato di rivoltare lo Stato come un calzino. Tutti hanno fallito, sbattendo la faccia contro il muro di “niet” costruito dai burocrati e dai loro referenti nei partiti. In molti temono che la giovane Marianna farà la stessa fine dei suoi predecessori. Se i dubbiosi vedono nel profilo rinascimentale della fanciulla quello della vergine sacrificale data in pasto al mostro, i detrattori più accaniti («un’incapace, una raccomandata di ferro, simbolo del nepotismo più squallido», ha scritto Piergiorgio Odifreddi qualche mese fa, mentre la bersaniana Chiara Geloni le ha dato senza giri di parole della voltagabbana e dell’opportunista) ne vaticinano un fallimento sicuro dovuto all’inadeguatezza. I pregiudizi, in effetti, accompagnano la ragazza da sempre. L’odiografia è attiva dal 2008, da quando la Madia, perfetta sconosciuta, precipitò sulle prime pagine dei giornali perché nominata da Walter Veltroni capolista nel Lazio per le elezioni politiche. «In Italia se sei una ragazza di 27 anni e non sei brutta ti passano una falce per tagliarti la testa. Marianna è una ragazza di altissimo livello», replicò il fondatore del Pd che negava di voler fare la chioccia a chicchessia.
L’AMICA DEGLI AMICI
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. La giovane Marianna diventa onorevole attraverso una cooptazione dall’alto, grazie a uomini potenti che le aprono le porte. Il papà Stefano, giornalista morto nel 2004 a soli 49 anni per una grave malattia (fece anche l’attore vincendo un premio a Cannes come miglior attore non protagonista in un film di Dino Risi, «Caro papà»), era infatti un grande amico di Veltroni. Nel 2001 fu eletto anche consigliere comunale a Roma nella lista civica intitolata al sindaco. Non solo: Stefano Madia (fratello del celebre avvocato Titta, e nipote del deputato fascista Giovanni Battista Madia) era in ottimi rapporti pure con Giovanni Minoli, con cui aveva collaborato a “Mixer”. Sarà un caso, ma Minoli nel 2007 prova a lanciare la figlia dell’amico in televisione, affidandole un programma su Rai Educational come conduttrice (il format si chiamava “E-Cubo” e parlava dello stato dell’ambiente sulla Terra), mentre Veltroni decide di spedirla dritta dritta in Parlamento. «Porto in dote la mia straordinaria inesperienza», fu la prima, ineffabile dichiarazione della Madia. Da allora frizzi, lazzi e sospetti l’accompagnano come un’ombra.
Epperò la “giovane economista” (definizione in tv che fece sbellicare dalle risate la professoressa Chiara Saraceno) oltre a qualche spintarella sa aiutarsi da sola. Cresciuta al liceo francese Chateaubriand, destinato ai rampolli della Roma bene capaci di pagare rette da capogiro, le vecchie professoresse se la ricordano come una delle più brave della classe. «Perfezionista, intelligente, idealista, studiava dalla mattina alla sera. Aveva un fidanzato, Paolo, e pochi grilli per la testa». «Insieme a Chiara Pappalardo e Chiara Ravagnan, le sue migliori amiche, era nel gruppo delle “parioline”. Ma era sempre gentile con gli altri», racconta un compagno: «Una secchiona, forse un po’ bigotta. Non mi ha sorpreso affatto che Marianna sia diventata ministro. Secondo me poteva diventarlo anche prima».
La Madia, che ha il mito del cattolicesimo sociale di Don Milani, si diploma con il massimo dei voti e nel 2004 si laurea in Scienze Politiche con 110 e lode. Entra un mese dopo all’Arel, il centro studi di cui Enrico Letta era dominus assoluto, come stagista. In stanza con lei c’è Benedetta Rizzo, al tempo compagna del democrat Francesco Boccia, e Mariantonietta Colimberti, giornalista di “Europa”. All’Arel mostra la sua determinazione feroce, si sa far voler bene da tutti (è lì che conosce Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica, con cui ha una relazione che lei tronca dopo un po’). Nel 2006 viene chiamata nella segreteria tecnica di Letta, diventato sottosegretario alla Presidenza del governo Prodi. Due anni dopo Veltroni alla ricerca di facce nuove pensa che la figlia dell’amico scomparso può simboleggiare il rinnovamento della classe dirigente del Pd. Mai poteva immaginare che la sua cocca sei anni dopo sarebbe addirittura diventata ministro.
RIVOLUZIONE O FUFFA?
«In sei mesi il ministro Madia ha fatto poco o nulla. Non siamo solo noi della Cgil a criticarla, ma tutti gli altri sindacati, il mondo della scuola, gli avvocati dello Stato, i magistrati. E temo che andrà sempre peggio». Michele Gentile, responsabile settori pubblici della Cgil, è deluso. «Era stata annunciata una “rivoluzione”, l’ennesima, ma come sempre è mancato coraggio e visione politica: il decreto approvato è fuffa pura. E anche il disegno di legge delega rischia di non riuscire a far entrare i giovani di cui abbiamo bisogno per svecchiare il personale. Come ai tempi di Brunetta: tanti annunci mirabolanti e pochissima concretezza». Con un’età media di 48 anni (52 nei ministeri) il personale dello Stato è il più vecchio della Ue, a causa del blocco del turn-over. «Oggi abbiamo circa 300 mila precari, ma dubitiamo che potranno essere assorbiti con il divieto di trattenimento in servizio appena varato. Gli ostacoli finanziari per la staffetta generazionale non sono stati rimossi, questa è la verità».
Dal governo sostengono che i sindacati in realtà siano piccati per il dimezzamento dei permessi sindacali e per la mobilità obbligatoria entro 50 chilometri dei dipendenti pubblici. «Fesserie», chiosa la Cgil: «Noi campiamo lo stesso. Tra l’altro», ragiona Gentile, «sottolineo che il decreto prevede 51 provvedimenti attuativi, mentre nel disegno di legge delega che verrà presentato a giorni ne ho contati altri 26. Se la riforma venisse approvata a gennaio 2015, e ho molti dubbi in proposito, serviranno altri due anni per vedere i primi effetti».
La Madia, se ha studiato economia del lavoro all’università, è a digiuno di pubblica amministrazione. Non è un caso che Renzi abbia voluto mettere al suo fianco il fedelissimo Angelo Rughetti, ex segretario generale dell’Anci nominato sottosegretario. È lui che insieme allo staff del ministro (tra cui Bernardo Polverari, capo di gabinetto, e Bernardo Mattarella, capo del legislativo e professore di diritto amministrativo con un passato alla Civit) sta mettendo a punto il cuore della riforma: basata sul rafforzamento dei poteri del premierin merito all’organizzazione nei vari ministeri, all’abolizione di antichi privilegi, alla licenziabilità dei dirigenti, e al pin unico per gli utenti.
Giovanni Valotti, professore alla Bocconi ed esperto di management pubblico, prova ad essere ottimista. «La Madia l’ho incontrata, e mi sembra abbia intenzioni serie. Condivido ipilastri della sua riforma, ma so anche che si scontrerà con forti resistenze interne: la collusione tra apparati burocratici e potere politico è spaventosa». Secondo Valotti oltre a una vera trasparenza sui risultati conseguiti dalle amministrazioni, l’obiettivo primario è quello di rinnovare i dirigenti apicali.«Nei ministeri sono tremila, molto anziani e con competenze inadeguate. Se ne cambi la metà, subito, cambi pure la pubblica amministrazione». Ma per sceglierli bene, spiega il bocconiano, bisogna contestualmente modificare i concorsi pubblici: «Due prove scritte nozionistiche e un esame orale con domande sorteggiate per garantire l’imparzialità non selezionano affatto i migliori. Sulla produttività abbiamo bisogno di un cambio di passo repentino: il numero dei dipendenti pubblici italiani non è eccessivo se rapportato a quello di Germania, Inghilterra e Francia. Rispetto al resto d’Europa, però, i nostri impiegati forniscono prestazioni inferiori, sotto ogni profilo. Non è colpa loro: fannulloni non si nasce, però si rischia di diventare se il datore di lavoro te lo permette. Sono trent’anni che aspettiamo una riforma vera, speriamo sia la volta buona».
LE GAFFE DI MARIANNA
Il compito è immane, la Madia rischia – se fallisce – di fare la fine della Pulzella d’Orléans. Eppure, nessuno scommetteva anni fa sulle sue capacità di muoversi in politica come un pesce rosso nello stagno. Nonostante il rapporto speciale con Veltroni, Marianna è riuscita – è un fatto – a farsi prendere in simpatia persino da Massimo D’Alema, che l’ha messa nel comitato di presidenza della Fondazione Italianieuropei. Negli anni ha stretto rapporti con Roberto Morassut e Enrico Gasbarra, due ras del Pd romano: è grazie al loro appoggio e a quello di Veltroni, dicono i maligni, che è riuscita a prendere quasi 5 mila preferenze alle primarie del 2013. Dopo aver appoggiato Bersani contro Renzi, la troviamo tra gli organizzatori della fronda contro la candidatura di Franco Marini a presidente della Repubblica. Mentre la vita privata va a gonfie vele (dopo essere entrata alla Camera riesce a comprarsi una casa di otto stanze a pochi passi da Piazza del Popolo, poi incontra il produttore cinematografico Mario Gianani, con il quale ha due figli) non molla la carriera. Dopo il flop di Bersaniappoggia il governo Letta (oltre all’Arel la Madia faceva parte anche di “Vedrò”, il think-tank di Enrico), poi si avvicina a Renzi quando è chiara la sua inarrestabile ascesa. Matteo ne ammira la pacatezza e le capacità: è lui a volerla prima nella sua segreteria e poi nel gabinetto di governo. Nella scelta di farla ministro gioca anche il fatto che Marianna sia unagiovane donna in dolce attesa: Renzi sa che i media ci andranno a nozze.
L’ascensione repentina alla Funzione pubblica lascia, però, l’amaro in bocca a molti colleghi. Dell’opposizione, ma soprattutto del Pd. Se Paola De Micheli e l’europedutata Alessia Mosca – ricercatrice all’Arel che ha visto la ministra muovere i suoi primi passi in politica – non vedono di buon occhio la cavalcata trionfale, molti bersaniani e gli uomini di Letta si sentono traditi. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini non sopporta la sua autonomia, garantita dal rapporto speciale col premier. Così, tra critiche argomentate e invidie devastanti, nei salotti romani c’è la gara a elencare i passi falsi e le sue gaffe. Alcune da leggenda: se il “Tempo” ha raccontato come qualche mese fa l’enfant prodige abbia confuso il ministero del Lavoro con quello dello Sviluppo economico presentandosi al ministro sbagliato, molti ricordano ancora quando la Madia paragonò il suo partito a «piccole associazioni a delinquere». Contraria all’eutanasia («Credo che la vita la dà e la toglie Dio, noi non abbiamo diritto di farlo») da deputata finì nel tritacarne per aver salvato, insieme ad altri 22 assenti democrat, il governo Berlusconi che rischiava di cadere sul voto sullo scudo fiscale. La sua astensione a una mozione contro Nicola Cosentino la rivendicò con orgoglio: «Spetta alla magistratura intervenire, non a noi», disse. Memorabile infine il tentativo, un anno fa, di inseguire i grillini depositando una legge sul reddito di cittadinanza. «Una puttanata colossale, abbassate piuttosto le tasse sul lavoro», gli disse Massimo Cacciari a “Servizio Pubblico”. «Lei vuole spegnere qualunque fuoco e qualunque speranza ma non ci riuscirà!», replicò lei mistica. Qualche settimana dopo, però, fu lei stessa a ritirare la proposta.
L’ultimo scivolone l’ha fatto da ministro, quando meno di un mese fa, seguendo i consigli della commissione Bilancio presieduta dall’amico Boccia, ha tentato di prepensionare per decreto 4 mila docenti esodati dalla Fornero, in modo da garantire diritti acquisiti e contemporaneamente assumere giovani: peccato che non ci fossero le coperture finanziarie, e il governo è stato costretto a un clamoroso dietrofront.«Dilettante allo sbaraglio», hanno attaccato le opposizioni. La Madia se ne frega, e giura che terrà dritta la barra. «La rivoluzione si farà, non ci fermeranno». Servirà un miracolo, che lei ci creda o no.
L’Espresso – 22 agosto 2014