Il governo va avanti. Dopo il via libera del Senato, arriva in serata anche il sì della Camera alla fiducia posta dal premier Enrico Letta. Su 597 votanti, i sì sono stati 435, i no 162. Il semaforo verde a Montecitorio scatta dopo che in tarda mattinata l’Esecutivo ha incassato la fiducia del Senato.
A palazzo Madama i sì sono stati 235, 70 contrari e nessun astenuto. «Spero che oggi ci sia un cambio di passo, vero e reale, a partire dalla legge di stabilità», afferma Letta. Nota del Quirinale: «Il Governo – sottolinea Giorgio Napolitano – ha vinto la sfida grazie alla fermezza dell’ impostazione sostenuta dal Presidente del Consiglio dinanzi alle Camere. Il Presidente del Consiglio e il governo non potranno tollerare che si riapra un quotidiano gioco al massacro nei loro confronti».
Un via libera, quello dell’Aula di palazzo Madama, che è giunto dopo l’ennesimo colpo di scena di una giornata frenetica. Con Berlusconi che all’ultimo minuto ha fatto dietrofront e ha annunciato, nella fase delle dichiarazioni di voto, che il Pdl avrebbe votato la fiducia all’Esecutivo.
Nel braccio di ferro che si è consumato all’interno del Popolo della Libertà tra falchi e colombe, i moderati pidiellini guidati dal vicepremier Alfano e dall’ala del partito vicina a Cl hanno espresso una linea politica non conforme a quella di rottura con il Pd dettata – in una prima fase, fino al colpo di scena finale – dal leader. Alla fine il Cavaliere preferisce schierare il Pdl a favore della fiducia all’Esecutivo di larghe intese, una mossa per evitare l’implosione del partito. Ma alla Camera nasce un nuovo gruppo con 26 deputati.
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Il governo Letta incassa la fiducia al Senato con 235 voti a favore e 70 contrari. Il colpo di scena è la clamorosa retromarcia di Silvio Berlusconi: il Pdl – dice il Cavaliere in aula – vota con la maggioranza. Un dietrofront “non senza interno travaglio” ammette l’ex premier, visto che il gruppo del Senato questa mattina aveva deliberato il contrario. E che certifica nei fatti la resa di Berlusconi ai cosiddetti dissidenti. Nonostante l’ex premier si affretti a dire: “nessuna marcia indietro”, la guida politica del partito non sembra più, infatti, nelle sue mani. Torna in dubbio anche la manifestazione anti-decadenza del 4 ottobre. “Ci sono due classi dirigenti incompatibili”, è la presa d’atto di Gaetano Quagliariello. Mentre è impietosa anche l’analisi del Pd: “Vuole nascondere una sconfitta politica – sottolinea Luigi Zanda – che invece è chiara e netta davanti agli italiani”.
Pdl nel caos. I numeri per far continuare il governo Letta a Palazzo Madama, infatti, c’erano già prima della capriola di Berlusconi: grazie ai 23 firmatari, provenienti dal Pdl e Gal, di una mozione a sostegno dell’esecutivo. Addirittura 35 i dissidenti secondo Roberto Formigoni, uno degli aderenti alla fronda. “Una nuova maggioranza” – aveva prontamente certificato Dario Franceschini. Uno smottamento nel centrodestra che – sempre secondo Formigoni -, potrebbe anche portare alla formazione di un nuovo gruppo a Palazzo Madama. “I destini sono separati” – erano state anche le parole laconiche di Mariastella Gelmini. Poi la mossa a sorpresa di Berlusconi. Ma il partito resta nel caos, visto che poi a sfilarsi sono i più duri come Nitto Palma e Sandro Bondi. Quest’ultimo, polemico dopo l’intervento del capogruppo Pd, Zanda, commenta: “Fa bene a trattarci con disprezzo”. Mentre le cosiddette colombe cantano vittoria. “Chi ha gridato traditori, lo dirà anche a Berlusconi?”, si chiede Maurizio Lupi, che poi frena sui nuovi gruppi: “Abbiamo ritrovato l’unità”.
In ogni caso si rafforza Enrico Letta, in una giornata – dirà il premier – dai risvolti storici e drammatici. “Una fiducia non contro qualcuno. Ma per l’Italia e gli italiani”. E’ l’appello con il quale il presidente del Consiglio chiude il suo discorso: 50 minuti per chiedere all’aula di dare il via libera al governo. Con una citazione finale di Benedetto Croce: “Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, col suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso”.
Parole che chiudono un intervento nel quale il premier mette al centro costantemente le esigenze del Paese. “Gli italiani ci urlano la voglia di cambiamento”, ha sottolineato Letta. Che in apertura cita anche Luigi Einaudi. “L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale – afferma il premier -, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no”.
L’ultima giravolta del Cavaliere. L’esito del voto, come noto, era appeso alla rottura che si è consumata nelle ultime ore tra Silvio Berlusconi e i “dissidenti” del Pdl guidati da Angelino Alfano. Il Cavaliere – che solo ieri aveva ribadito l’intenzione di non votare la fiducia – è arrivato in aula 20 minuti dopo l’inizio del discorso del premier: “Ascoltiamo Letta e poi decidiamo”, le sue parole. Un’apparente linea aperturista ribadita alla riunione con i senatori: “Sarà il gruppo in maniera compatta a decidere cosa fare”. I senatori però si esprimono all’unanimità per il no. Certificando di fatto la spaccatura. Fino all’ultima giravolta dettata da Berlusconi stesso in aula. Ma forse è già troppo tardi.
Repubblica – 2 ottobre 2013