Secondo un sondaggio di CareerCast. Pericoli, competizione e giudizio: è la pressione psicologica il vero «peso» del lavoro contemporaneo
Il lavoro nobilita l’uomo, può essere, ma sicuramente non lo rende libero, come affermava l’atroce scritta Arbeit macht frei all’ingresso dei lager. Può invece essere terapeutico, appagante, utile e prezioso, ma tra i tanti mestieri del mondo ve ne sono alcuni che arrecano una tal dose di stress da renderli quasi odiosi. E non sono neppure (o almeno non tutti) quelli che immaginiamo essere i più pesanti.
TASSO DI RISCHIO E GIUDIZIO ALTRUI – Secondo un sondaggio di CareerCast infatti quel che pesa maggiormente all’animo umano è il pericolo costante al quale si è esposti, ma anche la competizione in generale e lo sguardo giudicante degli altri. Per questo nella classifica, rigorosamente a stelle e strisce, dei lavori più stressanti troviamo accomunati lavori come il tassista, il pompiere e il soldato al mestiere del manager o addirittura all’organizzatore di eventi. Certo la posizione nella gerarchia della pressione psicologica non è la stessa e questo non sorprende.
LA LISTA – Al primo posto in assoluto troviamo il soldato, con un punteggio di 84.61 di stress score. A seguire troviamo il pompiere, con 60.26, nonostante sia una delle risposte più ricorrenti dei maschietti alla domanda «cosa vuoi fare da grande?» (o forse lo era nei bimbi di un tempo). Pilota, generale dell’esercito, poliziotto vengono subito dopo, a causa delle evidenti responsabilità e dei rischi ai quali si è esposti, con rispettivamente 59.58, 55.17 e 53.3 punti di stress. Gioca anche un ruolo in queste professioni l’irregolarità dei ritmi di vita, come nel caso del pilota, e il tasso di responsabilità delle vite altrui, evidente soprattutto nel lavoro di pompiere e soprattutto nell’epoca post 11 settembre. Nella classifica ogni mestiere è associato anche al guadagno medio riportato dalla categoria e troviamo, agli ultimi posti, anche professioni relativamente tranquille, come il tassista, il foto giornalista, il manager e il coordinatore di eventi. E per quanto differenti dai mestieri pericolosi ed eroici che guidano la classifica, questo è giustificato (come nel caso del coordinatore di eventi) dall’altissima visibilità del lavoro, che espone la persona al giudizio altrui, fattore giudicato tra i più stressanti. Una considerazione a parte meritano il mestiere dell’amministratore delegato, che in tempo di crisi è chiamato a prendere decisioni spesso pesanti e spiacevoli (licenziamenti) e quello del tassista, che a causa della criminalità ormai dilagante di molte metropoli è esposto a molti pericoli e per giunta in cambio di una paga minima.
IL LAVORO, CHE STRESS – Evidentemente la pressione psicologica e il modo di vivere occidentale ha regalato al lavoro generico una componente di stress prima inesistente. Secondo un recente sondaggio dell’American Psychological Association più di un terzo (il 36 per cento per l’esattezza) di tutti i lavoratori denuncia un’alta componente di stress nel corso della propria giornata lavorativa e il 20 per cento degli intervistati sfiora i punteggi massimi. «Una delle differenze principali tra noi e i nostri antenati è che noi viviamo mentalmente ed emotivamente come se la tigre non andasse mai via, in uno stato costante di pressione. E questo può portare a compromettere seriamente il sistema nervoso», fa notare Karen Sothers, esperta di tematiche legate allo stress (ovvero MBSR, Mindfulness Based Stress Reduction) di San Diego. «Questo è uno dei motivi per cui è essenziale la meditazione così come è cruciale imparare a regolare i pensieri e le emozioni così abilmente da saper rispondere alle sfide». Ma lo stress è entrato ormai a pieno diritto nelle nostre vite lavorative e si è insinuato persino tra professioni rassicuranti e appaganti. E a farne le spese sembra essere soprattutto le donne. Secondo una recente ricerca, promossa dal Brigham and Women’s Hospital, che ha coinvolto 22mila donne infatti la popolazione femminile è più esposta ai rischi di un lavoro stressante che, nel 70 per cento dei casi, causa loro un attacco di cuore nel corso della vita
Emanuela Di Pasqua – Corriere.it – 3 settembre 2012