Agli occhi dei ragazzi dell’Istituto comprensivo statale Largo Cocconi di Roma, ospitati nella tribuna di Montecitorio, lo spettacolo è stato devastante: gli studenti hanno visto solo la rissa verbale e, probabilmente, non hanno potuto apprendere dai loro accompagnatori che Pd e Pdl hanno finalmente raggiunto un accordo di maggioranza sul tetto per i finanziatori privati dei partiti (300 mila euro all’anno) e sulla diminuzione graduale del finanziamento pubblico diretto dei partiti, già ridotto nel 2012 a 91 milioni di euro: 68,25 milioni nel 2014; 45,5 nel 2015; 22,75 nel 2016, zero a partire dal 2017.
In aula l’aria è già intossicata quando si vota il ddl del governo che nel triennio 2014-2016 punta ad azzerare il finanziamento pubblico dei partiti. La scintilla che provoca l’incendio scatta quando il grillino di Montebelluna Riccardo Fraccaro — laurea in giurisprudenza, dipendente di una energy service company, 18.565 euro dichiarati — inizia a sparare a freddo una raffica di «ladri/ladri/ladri», rivolto ai colleghi degli altri partiti. Fraccaro — proprio nei minuti in cui Beppe Grillo mette pesantemente in riga i suoi senatori sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina — lamenta la mancata convocazione della seduta fiume per chiudere in serata il provvedimento sui partiti. Poi cerca la bagarre e la ottiene: «Ci avete sanzionati perché siamo saliti sul tetto della Camera ma voi vi asserragliate sotto, nel bunker, perché volete tenervi il malloppo e per questo continueremo a chiamarvi ladri». A quel punto, mezzo Pd salta in piedi («Fuori/fuori/fuori»), il centrista Mario Sberna (Scelta civica), pur vocato alla disciplina dei francescani, perde le staffe e rotea in aria un sandalo con l’intenzione di cercare il contatto fisico con il collega dei Cinque Stelle: «Probabilmente se era vicino glielo infilavo in bocca. Perché buono sì, ma quando è troppo è troppo…».
La provocazione del M5S funziona. La vicepresidente di turno Marina Sereni si fa prendere la mano e alla fine è costretta a sospendere la seduta. E i grillini che intendevano accelerare i lavori d’aula ottengono l’effetto opposto.
Nella seduta pomeridiana le cose non migliorano. Volano altre parole grosse tra grillini e deputati del Pd. Gianclaudio Bressa (Pd), di solito calmo e compassato, tenta di convincere i colleghi del M5S ad «uscire dagli schemi» ma poi si lascia andare anche lui: «Non siete gli sceriffi del Parlamento e, visti gli sviluppi odierni, siete tutti chiacchiere e distintivo…». Massimo Baroni (M5S) replica a brutto muso e, in un crescendo, cita «Il Giorno della Civetta» di Leonardo Sciascia: «E allora voi siete dei quaquaraquà ». A quel punto Ettore Rosato (Pd) attacca direttamente il capo dei grillini: «Beppe Grillo è il più grande dei quaquaraquà perché è l’unico leader che non ha resa pubblica la sua dichiarazione dei redditi». Ma il solo accenno ai redditi del comico genovese fa scattare l’autodifesa dell’intero gruppo grillino: «Prima di parlare di Grillo sciacquatevi la bocca», tuona il pugliese Giuseppe D’Ambrosio.
Al termine di queste pesanti schermaglie, si votano una manciata di emendamenti rimandando quelli più delicati alla volata finale della prossima settimana (decreto Imu permettendo). I relatori Mariastella Gelmini (Pdl) ed Emanuele Fiano (Pd) riescono alla fine a trovare un accordo (l’emendamento ancora non è stato votato) anche sul tetto da imporre ai finanziatori privati dei partiti: 300 mila euro all’anno per le persone fisiche (anche se Sergio Boccadutri di Sel chiede di tornare a 100 mila), 200 mila per le imprese. Nuova formulazione anche per l’emendamento «salva Forza Italia» (ma valido per tutti i nuovi partiti quindi utile anche ai governativi di Alfano in caso di separazione dai lealisti). E c’è anche un emendamento di Francesco Sanna (Pd), vicino al premier Letta, che inizia seriamente a mettere le mani sui bilanci delle fondazioni politiche. Il voto finale è previsto per martedì o mercoledì. Poi il provvedimento passa al Senato e lì, in caso di ulteriori blocchi, si vedrà se la minaccia del premier Letta è una tigre di carta: «Se il Parlamento non decide entro l’autunno, il governo metterà mano a un decreto….».
Dino Martirano – Corriere della Sera – 11 ottobre 2013