Roberto Mania. Lasciare in vita solo tre o poco più tipologie contrattuali di lavoro. Il governo sta lavorando a un’operazione di profondo sfoltimento dei contratti precari. L’obiettivo è quello di far rientrare tutti i contratti (la Cgil ne ha contati fino a 46 ma quelli realmente utilizzati non sono più di una decina) all’interno dei tre grandi famiglie: il lavoro a tempo indeterminato, il lavoro a tempo determinato e il lavoro autonomo.
La legge delega, che da mercoledì prossimo sarà all’esame dell’Aula del Senato, prevede il riordino e la semplificazione delle forme contrattuali. Il governo ha deciso di attuarla in maniera radicale, tagliando tutto ciò che non serve e omogeneizzando le forme contrattuali. Parallelamente punta ad estendere le tutele come quella della maternità così come gli ammortizzatori sociali (in particolare il sussidio di disoccupazione) a tutti i lavoratori. Non si avrà più accesso al sostegno al reddito in base alle dimensioni della propria azienda, al settore produttivo, e alla collocazione geografica ma in base a criteri uniformi. Scomparirà la cassa integrazione per cessazioni di attività di impresa, poi anche la cassa in deroga e l’istituto della mobilità. La riforma degli ammortizzatori sociali partirà con una dotazione di 1,5 miliardi di euro che dovrebbe essere prevista nella prossima legge di Stabilità.
È questa la sfida “a sinistra” di Matteo Renzi. Perché all’accusa di tagliare i diritti del lavoro con l’intervento sull’articolo 18 dello Statuto il premier prova a rilanciare con un piano strutturale anti- precarietà. Una risposta alle critiche che sono arrivate, appunto, dalla sinistra del Pd e dalle confederazioni sindacali. Bisognerà aspettare i decreti attuativi (il governo ha annunciato che ci saranno molto prima dei sei mesi previsti) ma le indicazioni date ai tecnici sono chiare.
Dunque le varie tipologie contrattuali, dai co.co.pro (i collaboratori a progetto) agli associati in partecipazione che danno vita ad abusi smaccati e ad elusioni fiscali e contributive, e per questo vantaggiose per le imprese, sono in larga parte destinate ad essere cancellate. Per i parasubordinati (un po’ autonomi, un po’ dipendenti) potrebbe insomma non esserci un futuro. Resteranno in piedi — per capirsi — le vere collaborazioni per le quali non sia prevista alcuna forma di subordinazione e di vincolo (d’orario o di presenza che finiranno per rientrare all’interno della famiglia del lavoro autonomo. Non rischia il part time poiché rientra a seconda dei casi in una sottospecie dei contratti a tempo indeterminato o a tempo determinato. Il perno di questa operazione è ovviamente il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Con l’allungamento, di fatto, del periodo di prova (probabilmente fino a tre anni) nel quale comunque il lavoratore sarà licenziabile senza i vincoli dell’articolo 18, il governo ritiene di rendere appetibile il contratto standard. La vera spinta dovrebbe provenire però dagli sgravi fiscali e contributivi associati al nuovo contratto. Ma serviranno risorse.
Poletti. “Pronti a mediare sull’articolo 18 e la lotta alla precarietà, altrimenti via al decreto”
Il ministro del Lavoro: “I toni del confronto sono ormai sopra le righe solo un impianto ideologico può far dipendere tutto dai licenziamenti le imprese li usano come alibi, ma anche i sindacati sono responsabili”
Ministro Poletti, per tanto tempo il governo ha detto che il problema non era l’articolo 18. Ora, invece, il problema è proprio l’articolo 18. Può dirci come intendete modificarlo?
«Una cosa che va detta in termini chiari per evitare fraintendimenti è che il diritto al reintegro in caso di licenziamento discriminatorio non è mai stato, e non è, in discussione. D’altronde la legge delega fa riferimento esplicito alla normativa europea in materia».
E negli altri casi che ancora sono previsti rimarrà il diritto al reintegro?
«È aperta una discussione e non sono in condizione di anticipare nulla. Ci sono opzioni diverse sulla formulazione da dare al contratto a tutele crescenti, a fine mese è prevista la riunione della Direzione del Pd che discuterà anche di questo e di tutta la legge delega. Credo che sia bene che questa discussione si faccia in modo esplicito, chiaro, lineare. Poi il governo ne trarrà le conclusioni nei decreti attuativi della delega».
Non sarebbe più corretto che il governo dicesse chiaramente cosa vuole fare anziché aspettare i decreti e alimentare la discussione sulle ipotesi?
«Il governo cosa vuole l’ha detto. Vogliamo che l’esame della riforma del mercato del lavoro sia fatta tutta insieme e non a pezzetti. Noi proponiamo un cambiamento radicale che renda drasticamente più semplice tutta la materia. Vogliamo cambiare profondamente gli ammortizzatori sociali per estenderli a tutti quei lavoratori che attualmente non ne hanno diritto e passare alle politiche attive per il lavoro. In sostanza vogliamo spendere i soldi perché la gente vada a lavorare, non perché stia a casa ad aspettare. È su tutto ciò che vorremmo si discutesse».
Il governo è disponibile ad accettare modifiche che dovessero essere approvate in Parlamento?
«La legge delega non è un provvedimento blindato. Sarebbe assai strano che il governo non accettasse modifiche dal Parlamento a cui chiede una delega legislativa. Certo le eventuali modifiche non dovranno stravolgere l’impianto della delega presentata dal governo ed avere il consenso della maggioranza».
Sta dicendo che è tramontata l’ipotesi avanzata dal presidente del Consiglio Renzi di un decreto legge?
«Il presidente è stato molto chiaro: se i tempi di approvazione della delega dovessero dilatarsi il governo è pronto a ricorrere al decreto».
Forza Italia vi sta implicitamente offrendo il voto. Se arrivasse sarà ben accetto?
«Ogni partito ha la facoltà di scegliere come comportarsi. Il governo si confronta con la sua maggioranza. I voti in più che dovessero arrivare fanno piacere se servono a fare cose buone».
Come sarà il contratto a tutele crescenti?
«Nella delega c’è scritto che ai neoassunti sarà applicato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti sulla base dell’anzianità di servizio. Probabilmente andrà prevista una diversa modulazione tra imprese con più di 15 dipendenti e quelle che stanno sotto questa soglia. È un ragionamento aperto ».
Ci sarà l’indennizzo monetario o il reintegro per i neoassunti licenziati senza giusta causa?
«È una discussione aperta».
Qual è la posizione del governo?
«Questo è il nodo politico. Vedremo quale posizione emergerà anche dal dibattito alla prossima Direzione del Pd».
La Cgil dice di smetterla con gli insulti e di confrontarsi. Lei che ne pensa?
«Sottoscrivo totalmente questa dichiarazione. Gli insulti non servono mai e sono d’accordo che serva un confronto».
Dunque siete pronti a discutere con i sindacati? Li convocherà?
«Con i sindacalisti e con i rappresentanti delle imprese mi incontro tutte le volte che è necessario. Ciò che è importante è che la discussione si faccia sull’insieme della legge delega».
La legge delega, appunto, prevede anche la semplificazione e il riordino delle tipologie contrattuali. Quali contratti eliminerete? Resteranno le false partite Iva, gli associati in partecipazione, i parasubordinati, i co.co.pro?
«La delega prevede il riordino e la semplificazione dei contratti. È un lavoro complesso che ci porterà a decidere, pragmaticamente, di tenere solo quelli che servono davvero. Ciò che posso dire è che ci sarà un principio di fondo che guiderà il riordino: nessun contratto deve essere avvantaggiato dal punto di vista dei costi. Insomma bisogna semplificarli, ridurli se necessario e fare in modo che non ci sia un contratto che costi meno di un altro, ad esclusione della fase di avviamento dei contratti a tempo indeterminato che vanno promossi».
Quindi conferma che ridurrete il costo del lavoro agendo sull’Irap o sui contributi sociali?
«È uno dei nostri obiettivi fondamentali. Dovremo farlo con la legge di Stabilità».
Ma perché questo governo ce l’ha con la Cgil? È un vostro nemico? Non fa parte dello schieramento della sinistra?
«Non abbiamo certo un atteggiamento pregiudiziale nei confronti della Cgil e di nessun altro. Mi pare però che la discussione in corso sia un po’ sopra le righe: non credo che si possa paragonare Renzi a Margaret Thatcher: noi vogliamo estendere i diritti e le tutele, non abrogarli».
Forse non si possono nemmeno accusare i sindacati di essere i responsabili della precarietà.
«Forse tutta la classe dirigente italiana dovrebbe domandarsi perché siamo finiti in questa situazione. Nessuno può pensare di non portare una parte della responsabilità».
Un’ultima domanda, ancora sull’articolo 18: supponiamo che venga superato pensa davvero che possa dare un impulso all’occupazione?
«Solo un impianto ideologico può far pensare che tutto dipenda dall’art.18, nel bene e nel male. Sicuramente toglierebbe un alibi che non raramente viene sollevato dal mondo delle imprese. Ma questo non vuol dire che produca automaticamente effetti sull’occupazione. Una situazione di maggiore certezza favorisce gli investimenti».
Accetteremo le modifiche fatte dal Parlamento a patto che non stravolgano l’impianto della riforma
Noi ci confrontiamo con la nostra maggioranza I voti in più fanno piacere se servono a fare cose buone
Repubblica – 21 settembre 2014