Nei prossimi giorni dai tavoli tecnici impegnati sul dossier pensioni dovrebbe uscire una soluzione per chiudere il fronte esodati. Una soluzione definitiva, si assicura, e diversa dall’ipotizzata settima salvaguardia che chiedono all’unanimità i deputati della Commissione Lavoro della Camera, che ieri hanno approvato un loro testo e lo hanno inviato al Governo per il previsto parere. Sono due i punti fermi cui verrà legato il provvedimento dell’Esecutivo: autorizzazioni di spesa annualizzate (non pescando da una “dote” residuata dalla sei salvaguardie pregresse) e aggancio con la nuova forma di flessibilità annunciata in Stabilità, con un’attenzione alle situazioni di maggiore difficoltà dei lavoratori. Lo schema di base di quest’ultimo provvedimento non cambia: un’uscita con penalizzazioni per chi matura l’anno prossimo requisiti minimi di 63 anni e 7 mesi di età con 35 di contributi. Sulla percentuale di penalizzazione annua rispetto all’anticipo sui requisiti di vecchiaia (66 anni e 7 mesi) il confronto è ancora aperto.
Si parla di un 4% annuo sulla quota retributiva dell’assegno, ma si potrebbe ancora cambiare. Pare, invece, certo che non verrà fatta una distinzione tra uomini e donne per questo schema di flessibilità che dal 2016 diventerebbe interessante per le coorti del 1952-1953. E questo nonostante la consapevolezza che con 35 anni minimi la flessibilità aggiuntiva sarebbe soprattutto appannaggio degli uomini, vista la difficoltà per le donne di avere carriere continue. Una soluzione è data per certa anche per l’«Opzione donna»: riconoscere alle dipendenti di 58 anni e 35 di contributi, con maturazione del requisito entro l’anno, un ritiro anticipato con penalizzazione del 3% l’anno per massimi tre anni in luogo del ricalcolo contributivo. Misura che potrebbe riguardare circa 30mila lavoratrici con un costo basso iniziale (160 milioni circa) che cresce negli anni futuri quando scattano le finestre della decorrenza. Il nodo risorse è naturalmente centrale: il ministro dell’Economia ha più volte affermato che la nuova flessibilità avrà un costo che dovrà impattare il meno possibile sul disavanzo.
Un ulteriore fronte di riflessione si è aperto poi sulla sperimentazione (dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018) che consente ai dipendenti privati di chiedere la liquidazione nella retribuzione mensile delle quote del Tfr maturate nello stesso periodo. La misura non ha raccolto molte adesioni per il disincentivo fiscale che l’accompagna (si applica l’aliquota marginale Irpef), e fatto un bilancio potrebbe essere corretta.
La pressione sul Governo per non recedere dagli annunci fatti resta altissima. Ieri la Commissione Lavoro del Senato nell’esprimere il suo via libera alla Nota di aggiornamento al Def ha insistito su due priorità per le manovra: una più sensibile detassazione e decontribuzione del salario di produttività; l’introduzione di elementi di flessibilità nel sistema previdenziale, «sia agevolando i versamenti volontari dei datori di lavoro e dei lavoratori, sia consentendo l’accesso anticipato al trattamento pensionistico sulla base di definiti requisiti contributivi e anagrafici». E il presidente della commissione Lavoro, Maurizio Sacconi, ha sottolineato la «significativa convergenza della maggioranza» su questi temi. E il fronte sindacale annuncia mobilitazioni unitarie dal 5 al 15 ottobre su tutto il territorio a sostegno delle modifiche della legge Fornero sulle pensioni.
Di sicuro le nuove misure previdenziali che verranno adottate in Stabilità avranno questa volta un pubblico più informato e attrezzato per effettuare le eventuali opzioni di uscita dall’impiego. A quasi cinque mesi dall’avvio del progetto “la mia pensione”, oltre un milione di lavoratori ha visualizzato sul sito Inps il proprio estratto conto per controllare la posizione contributiva e oltre 880mila hanno effettuato simulazioni sull’entità della futura pensione. E nelle prossimo 3 o 4 settimane, ha annunciato il presidente dell’Istituto, Tito Boeri, ai lavoratori che non hanno utilizzato il sito web verrà inviata una «busta arancione» con la simulazione base. Saranno spedite 8 milioni di buste, visto che su 17 milioni di attivi iscritti all’Inps già 7 milioni hanno il Pin. Un incoraggiamento per tutti gli altri a usare il simulatore Inps per il calcolo della pensione sulla base di variabili di reddito e carriera lavorativa personalizzate. Con questo strumento in mano sarà più facile scegliere che cosa fare con la nuova flessibilità. (Davide Colombo)
DOPPIA «STRETTA» DAL 1° GENNAIO 2016. L’ADEGUAMENTO ALL’ASPETTATIVA DI VITA OBBLIGA A LAVORARE DI PIÙ
Per effetto delle regole vigenti, dall’anno prossimo scatteranno automaticamente degli aggiornamenti che di sicuro non vanno nella direzione della flessibilità. Anzi, obbligano a lavorare più anni per maturare il diritto alla pensione e per non subire decurtazioni dell’importo mensile.
In primo luogo è previsto l’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti anagrafici e contributivi minimi. Dal prossimo anno, e fino a tutto il 2018, per la pensione di vecchiaia saranno necessari 66 anni 7 mesi di età e almeno venti anni di contributi. Tale requisito è richiesto ai lavoratori dipendenti e autonomi nonché alle lavoratrici del pubblico impiego. Per quelle del settore privato il requisito sarà di 65 anni 7 mesi (contro gli attuali 63 anni 9 mesi) mentre per le autonome l’aumento è più contenuto poiché passerà da 64 anni 9 mesi a 66 anni 1 mese.
Invece i lavoratori “contributivi puri” che hanno i requisiti anagrafici e di contributi ma non anche quello economico, perché l’importo della pensione risulta inferiore a 1,5 volte quello dell’assegno sociale, potranno accedere alla pensione di vecchiaia con soli 5 anni di contributi effettivi ma dovranno attendere di compiere almeno 70 anni e 7 mesi.
Per quanto riguarda l’accesso alla pensione anticipata, indipendentemente dall’età anagrafica, il requisito minimo contributivo subirà un aumento di 4 mesi e arriverà a 41 anni 10 mesi per le lavoratrici e 42 anni 10 mesi per i lavoratori. In questo caso il settore di attività degli interessati risulta ininfluente poiché i minimi di accesso sono indifferenziati.
Per i soggetti contributivi puri, che possono vantare almeno venti anni di contribuzione a decorrere dal 1996, l’accesso alla pensione anticipata sarà possibile con 63 anni 7 mesi a condizione che il primo importo di pensione non risulti inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale pari a poco più di 1.250 euro mensili.
Oltre alla modifica dei requisiti di accesso, le novità riguardano anche l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione utilizzati per calcolare l’importo della quota contributiva delle pensioni: i coefficienti, a parità di età, diventano meno generosi, sempre quale conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita.
Questo meccanismo, per effetto della riforma Monti-Fornero (Dl 201/2011), dal 1° gennaio 2012 vale anche nei confronti dei lavoratori che possono vantare almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, in quanto si applica la quota contributiva relativamente alle anzianità successive al 2011.
Ma la revisione dei coefficienti di trasformazione riguarderà anche (e soprattutto) i lavoratori che alla fine del 1995 possono vantare un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni e quindi sono interamente soggetti al sistema contributivo. In questo caso, infatti, è evidente che l’accumulo dei contributi versati dal dipendente e dal datore di lavoro risulta notevolmente superiore rispetto ai colleghi con maggiore anzianità contributiva al 1995. (Fabio Venanzi)
L’ANALISI. SULLE USCITE FLESSIBILI UNA RIFORMA SENZA AMBIGUITÀ
Tra le pieghe delle regole previdenziali sono già ora previste alcune possibilità per lasciare il lavoro in anticipo rispetto all’età per la pensione di vecchiaia. Una conferma che il tema della “flessibilità” del sistema si è posto spesso anche in passato. Si tratta però di soluzioni destinate di volta in volta a soddisfare le esigenzae di categorie particolari.
È stato così per gli addetti a lavori usuranti; per chi è rimasto impigliato nell’innalzamento dei requisiti per la pensione introdotto dalla legge Fornero eccetera. Legiferare per casi, tuttavia, mette a rischio la logica del sistema, senza definire un’architettura alternativa, con ripercussioni sia per quanto riguarda le conseguenze delle misure sul bilancio statale sa per quanto riguarda l’eguaglianza e l’equità nei trattamenti.
È per questi motivi che il dibattito avviato nelle scorse settimane sulla necessità di introdurre forme di flessibilità per chi volesse optare per un anticipo della pensione deve fare piazza pulita dalle ambiguità che sono sullo sfondo: si deve trattare di una misura generale, potenzialmente valida per tutti – uomini e donne, del privato e del pubblico senza creare nuove disparità – e senza scaricare il costo sull’Erario.
Non si può dimenticare che le pensioni devono essere pagate con le risorse della previdenza, l’equilibrio non può essere rinviato.
Se c’è chiarezza e condivisione su questi punti, aprire una nuova strada di flessibilità in uscita può tradursi in una chance per tutti: per i lavoratori che guadagnano tempo per sé; per le imprese che possono inserire persone giovani o con nuove competenze negli organici; per il sistema previdenziale che paga sì assegni aggiuntivi ma investe su nuovi contributori.
Il patto definito con i contratti di solidarietà espansiva vent’anni fa può fungere da paradigma: l’onere del pensionamento anticipato può essere, in parte, suddiviso: nel conto finale per l’Erario vanno tenute presenti le risorse che possono arrivare come contropartita alle uscite. In una sistema finanziato a ripartizione, infatti, l’equilibrio è dato sì dalla corrispondenza tra contributi versati dal singolo e importo della pensione ma anche dal rapporto tra attivi e pensionati. (Maria Carla De Cesari)
CINQUE STRADE PER ANTICIPARE LA PENSIONE IN VIGORE GIÀ OGGI
Con il jobs act arriva, un po’ a sorpresa, un percorso per anticipare il ritiro dal lavoro. Mentre il governo studia le soluzioni per consentire maggiore flessibilità in uscita, la riforma del lavoro ha ripescato l’idea della staffetta generazionale. Così, nell’ambito dei nuovi contratti di solidarietà espansiva, il lavoratore vicino al momento del ritiro, potrà ridurre la sua prestazione lavorativa al part time e percepire dall’Inps una quota della pensione già maturata, senza subire tagli di reddito. L’innovazione del jobs act va ad affiancarsi ad altre possibili forme di flessibilità già oggi in vigore e che consentono, seppure in casi generalmente circoscritti, di lasciare il lavoro prima di aver raggiunto i nuovi requisiti anagrafici.
Dal punto di vista strettamente previdenziale le forme di flessibilità sono sostanzialmente tre.
L’accesso alla pensione anticipata indipendentemente dall’età anagrafica è possibile con 41 anni 6 mesi di contributi per le donne e 42 anni 6 mesi per gli uomini. Dal prossimo anno – e fino al 2018 – i requisiti contributivi subiranno l’aumento di 4 mesi legato alla speranza di vita e quindi si salirà rispettivamente a 41 anni e 10 mesi e 42 anni e 10 mesi.
Alle sole donne, inoltre, è consentito accedere alla pensione di anzianità con il regime sperimentale comunemente conosciuto come “opzione donna” (previsto dall’articolo 1, comma 9, della legge 243/2004). Attualmente i requisiti richiesti per questa soluzione sono 57 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti e 58 anni 3 mesi per le autonome, con almeno 35 anni di contributi e un’attesa dovuta alla finestra mobile di 12 mesi per le prime e 18 per le altre. Tuttavia la pensione messa in pagamento sarà notevolmente ridotta rispetto a quella calcolata con le regole proprie (il sistema misto) poiché si applica il calcolo interamente contributivo.
Nonostante questa penalizzazione, che può arrivare al 30% dell’importo, l’opzione ha riscosso un successo crescente negli ultimi anni, di pari passo con l’innalzamento dei requisiti standard: dalle 56 pensioni liquidate nel 2009 si è arrivati a oltre 11.500 l’anno scorso.
Secondo le indicazioni dell’Inps, l’accesso alla pensione “con opzione” è possibile a condizione che la decorrenza del trattamento pensionistico si collochi entro il 31 dicembre 2015, comportando di fatto il perfezionato dei requisiti nel 2014. In attesa delle decisioni del governo (si veda articolo a pagina 2) l’istituto di previdenza ha precisato che le domande di pensione presentate dalle lavoratrici che perfezionano i requisiti anagrafici e contributivi nel 2015, e per le quali la decorrenza del trattamento si collocherebbe oltre quest’anno, non dovranno essere respinte ma tenute in apposita evidenza.
La terza possibilità di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro è riservata ai soggetti che svolgono attività particolarmente faticose e pesanti (cosiddette usuranti) e che possono accedere alla pensione di anzianità con il sistema delle quote. Per il 2015 la quota è 97,3 con almeno 61 anni e 3 mesi e 35 anni di contributi oltre ai resti utili a perfezionare la quota. Dal prossimo anno i requisiti di quota e di età subiranno l’aumento legato alla speranza di vita. Anche in questo caso continua a trovare applicazione la finestra mobile. In verità le somme stanziate a copertura dell’anticipo del pensionamento di questa categoria di lavoratori si stanno dimostrando sottoutilizzata poiché il più delle volte gli interessati riescono a perfezionare i requisiti ordinariamente previsti dalla vigente normativa.
C’è infine un’altra forma di flessibilità in uscita legata ad accordi tra azienda e dipendenti. Vi possono ricorrere le imprese con più di 15 addetti che devono gestire degli esuberi di personale. A fronte di un’intesa con i sindacati, il personale a cui manca non più di quattro anni per raggiungere i requisiti della pensione di vecchiaia o anticipata può smettere di lavorare, ricevendo una sorta di pensione (tecnicamente chiamata sospensione) a carico dell’azienda che contemporaneamente continua a versare i contributi necessari per raggiungere l’età pensionabile.
Prossima a scattare è anche un’ulteriore possibilità di pensionamento anticipato, riservata agli assunti dal 1° gennaio 1996 e quindi soggetti interamente al sistema contributivo. Il diritto all’assegno si raggiunge con 20 anni di contributi, 63 anni e 3 mesi di età e un importo di pensione pari almeno a 2,8 l’assegno sociale. Poiché non è ancora trascorso un ventennio dal 1996, questa opzione sarà utilizzabile dall’anno prossimo. (Matteo Prioschi e Fabio Venanzi)
Il Sole 24 Ore – 2 ottobre 2015