Speciale su Lancet. Zoonosi, siamo in grado di prevenire la prossima epidemia e ridurre i costi che causerà?
«Lancet» la rivista medica inglese ha dedicato uno speciale a queste infezioni per tentare di capire se siamo in grado di predire la prossima epidemia e ridurre i costi che causerà. L’ultimo arrivato è un nuovo coronavirus. Si è fatto vivo in Medioriente tra aprile e novembre 2012, colpendo in Arabia Saudita, Qatar e Giordania. Nove finora i casi confermati dagli esami di laboratorio di cui cinque fatali. Il coronavirus è diventato famoso nel 2003: è stata una sua variante infatti a causare la Sars, la malattia che apparve in Cina, fece in pochi mesi il giro del pianeta e scomparve lasciando in eredità poco meno di mille morti. Il virus isolato in questi giorni è un po’ diverso da quello della Sars, ma probabilmente, come quello, viene da un animale: sembra simile al ceppo che colpisce i pipistrelli.
Ancora non è chiaro come sia passato all’uomo e neppure si sa al momento se sia in grado di trasmettersi da persona a persona. Mentre gli esperti indagano, in America e in Europa circolano i virus influenzali. Pochi giorni fa lo stato di New York ha chiesto lo stato di emergenza proprio per colpa dell’influenza. Almeno 20.000 casi si sono verificati nello stato fino alla settimana scorsa: più di quattro volte il numero del 2012.
Gli ospedali faticavano a gestire l’emergenza e i Centers for Disease Control and Prevention hanno fatto sapere che nelle settimane scorse il 7,3% delle morti avvenute negli States erano dovute a polmoniti e influenza. Negli Stati Uniti sta circolando soprattutto un ceppo del virus A (l’H3N2), che può avere conseguenze più gravi rispetto a A H1N1, apparso nella pandemia del 2009. Si tratta di un vecchio virus influenzale, tuttavia si sono verificati alcuni casi provocati da una variante di questo ceppo della quale ancora non si conosce la possibile evoluzione.
Anche nel caso dell’influenza, ci troviamo di fronte a un virus che viene dal mondo animale, in particolare da maiali e uccelli. In realtà oltre il 60% delle malattie infettive che colpiscono gli esseri umani sono causate da virus, batteri o protozoi che condividiamo con il mondo degli animali, sia selvatici che domestici. Alcune di queste malattie sono ormai da tempo presenti tra di noi, altre invece sono passate dal mondo animale a quello umano da poco: le cosiddette malattie infettive emergenti. Alcune sono ben conosciute, come l’influenza, l’Aids, la leptospirosi, la Sars, Ebola, l’antrace. Altre hanno nomi più esotici, come la malattia di Chagas o la febbre della Rift Valley. Tutte insieme sono responsabili di circa un miliardo di casi di malattia all’anno e di milioni di morti nel mondo.
Si calcola che negli ultimi 20 anni il danno economico subito a livello mondiale a causa di queste infezioni ammonti ad alcune centinaia di miliardi di dollari. Eppure, i meccanismi che stanno alla base dell’emergere di questo problema non sono ancora ben noti. È per questo che la rivista medica inglese The Lancet ha dedicato uno speciale proprio alle zoonosi, ovvero a quelle infezioni che arrivano dal mondo animale, per cercare di capire se siamo in grado di predire la prossima epidemia di una di queste malattie prima che infetti gli esseri umani e di ridurre i costi che causerà, visto che finora non è mai successo.
Una cosa è chiara, scrive Stephen Morse della Columbia University: «Non stiamo discutendo se ci sarà un’altra pandemia da zoonosi, la questione è solo quando e dove la prossima pandemia comincerà. La sfida è stabilire se e come i ricercatori possano intervenire prima che il patogeno raggiunga la popolazione umana e sviluppare armi appropriate».
Quello che la scienza sa è che le epidemie di zoonosi sono quasi sempre un prodotto dello sviluppo economico. Il microorganismo che causa la malattia normalmente circola in una o più specie animali alle quali spesso non crea neppure grandi danni. Ma poi, per qualche evento, decide di attaccare un’altra specie, la nostra. Perché? Le cause che stanno dietro questo fenomeno sono rintracciabili in alcune attività prettamente umane come il cambiamento dell’uso del territorio, l’estrazione di risorse naturali, i sistemi di produzione animale, i trasporti, l’uso di farmaci, il mercato globale, ma anche il tracollo delle infrastrutture sanitarie di un paese. In particolare, quei processi che violano aree precedentemente disabitate ci possono esporre alle zoonosi.
Eppure quasi mai, dicono gli esperti di Lancet , chi si occupa di valutare i danni sulla salute di queste attività, inserisce tra le possibili conseguenze quelle di creare un rischio di epidemia. Ad esempio, quando la foresta primaria viene violata per far posto a miniere, campi coltivati o a pozzi petroliferi, moltissime specie animali, tra cui anche microbi, entrano in contatto con gli uomini. E siccome sappiamo che le foreste tropicali sono ricche di specie, alcune delle quali ancora sconosciute, possiamo immaginare che questo valga anche per i germi patogeni. Nelle regioni tropicali, il cambiamento nell’uso del territorio ha effettivamente portato all’emergere di epidemie di malattia di Chagas, febbre gialla e leishmaniosi. Un altro problema è quello degli allevamenti.
La produzione intensiva di polli, ad esempio, comporta una maggiore densità di popolazione animale, quindi un aumento dei tassi di contatto (e di contagio) tra individui, inoltre spesso la selezione genetica degli animali avviene sulla base di quanto sono produttivi e non di quanto sono resistenti alle malattie. Tutto questo genera dei rischi, e la storia dell’influenza aviaria è lì a dimostrarlo.
L’H5N1 è un virus che si è evoluto a partire da un ceppo molto meno virulento nei polli domestici, probabilmente proprio a causa di un aumento di promiscuità tra specie e tra individui. I rischi – sottolineano gli autori degli articoli – non sono limitati ai paesi a basso reddito perché i commerci e i viaggi mettono in grado i germi patogeni di raggiungere ormai qualsiasi parte del pianeta. Dunque, siamo tutti interessati. L’arte tra la Grande Guerra e il Fascismo Si inaugurerà il primo febbraio a Forlì (Musei San Domenico) «Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre»: una rassegna della ricerca in tutte le arti di nuove espressioni della cultura italiana. Un grande progetto in comune che partiva dalle avanguardie per guardare a un orizzonte di armonia tra antico e moderno
L’Unità – 29 gennaio 2013