Una spending review da 5,8 miliardi. Con tagli anche in versione semi-lineare per i ministeri, il minore incremento del Fondo sanitario di 2 miliardi, il meccanismo rafforzato della centralizzazione degli acquisti della Pa all’insegna del criterio dei costi standard. E anche una razionalizzazione della spese informatiche sostenute dalle amministrazioni pubbliche facendo leva sul processo digitalizzazione.
Confermato anche il taglio delle partecipate ma il primo anno garantirà risparmi limitati che saranno comunque gestiti direttamente dai Comuni. Il piano di revisione della spesa garantisce un quinto delle coperture della manovra da 26,5 miliardi (29,6 miliardi solo con l’eventuale ok di Bruxelles alla “clausola migranti”), che diventa però circa un terzo di tutta l’impalcatura contabile considerando anche i tagli non strutturali (in versione una tantum) per 3,1 miliardi, 1,8 dei quali a carico delle Regioni agendo sul perimetro del Patto di stabilità e 600 milioni dal giro di vite sulle Province.
La spending vera e propria inserita nella legge di stabilità varata ieri dal Consiglio dei ministri rimane distante dall’obiettivo dei 10 miliardi di revisione della spesa indicato nel Def di aprile ma è sostanzialmente in linea con la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza approvata nei giorni scorsi dal Parlamento in cui si fa esplicito riferimento a una spending più graduale di quella ipotizzata in primavera. All’appello mancano soprattutto i risparmi che dovevano essere recuperati con il riordino delle tax expenditures. Ma è stato lo stesso Matteo Renzi a decidere di rinunciare, almeno per il momento a questo intervento, al quale aveva lavorato Roberto Perotti e che ha provocato qualche tensione con il professore della Bocconi. «Abbiamo scelto di non intervenire sulle tax expenditures» perché «intervenire oggi significa aumentare le tasse», ha detto il premier in conferenza stampa. «Ci sono 4 miliardi da modificare, che secondo noi sarebbe giusto fare» ma con la legge di stabilità «volevamo dare un messaggio: non aumentiamo le tasse», neanche con un intervento su quelle agevolazioni fiscali «che andavano tagliate o almeno ridotte», ha aggiunto Renzi.
Dei quasi 6 miliardi che arriveranno dalla spending, circa 2 miliardi sono riconducibili ai ministeri per i quali, come ha detto lo stesso Renzi, alla fine è scattata la regola della stretta del 3% seppure in una versione rivisitata: tagli modulari in percentuali diverse per singole voci e singoli dicasteri, in molti casi quindi in versione semi-lineare. Su questo fronte scatteranno anche la riduzione dei super-dirigenti e l’ulteriore taglio del 10% agli uffici di diretta collaborazione dei dicasteri. Lo stesso premier ha ricordato che a concorrere alla riduzione della spesa sarà il mancato incremento della voce “dipendenti”, perché la riduzione dei dirigenti «tiene basso il tetto complessivo del personale nonostante il fondo dedicato alla nuova contrattazione aziendale».
Uno dei pilastri della spending review disegnata dal commissario Yoram Gutgeld è il meccanismo semplificato per la centralizzazione degli acquisti che dovrà servire anche per imporre a tutte le amministrazioni i costi standard rendendo omogenea la spesa sostenuta dalle strutture pubbliche per le forniture. Lo stesso Renzi ha sottolineato che parte della revisione della spesa arriva dal dispositivo dei «costi standard che impone attraverso una procedura dove si valorizza Consip, di ridurre il costo degli acquisti». Entro il 31 dicembre, tra l’altro, il Governo dovrà varare un Dpcm con cui saranno individuate le categorie merceologiche e le soglie di valore sopra le quali le amministrazioni pubbliche dovranno tassative ricorrere alle gare della 34 stazioni appaltanti attualmente previste dopo lo stop al vecchio dispositivo con 32mila centrali.
Anche il riordino delle partecipate fa parte, come previsto, del piano spending. Un riordino, che ha l’obiettivo di scendere progressivamente da 8mila a mille società, che scatterà con il testo unico di attuazione della riforma Pa atteso a fine mese. Ma la legge di stabilità contiene già alcune misure di raccordo, a cominciare da quelle sulla riduzione dei membri dei Cda e degli organismi di vigilanza (circa mille poltrone). Nella manovra non vengono però contabilizzati risparmi. Anzitutto perché il processo di disboscamento comincerà a essere operativo a fine 2016 e in secondo luogo perché le risorse risorse recuperate saranno gestite direttamente dai Comuni, come ha sottolineato lo stesso premier. Intanto il Governo lavora al varo dei decreti di attuazione della riforma Madia che, per alcuni interventi, potrebbero garantire risparmi. Non nel caso, comunque, della riorganizzazione delle Prefetture dove il taglio rischia di rivelarsi più soft di quello previsto anche per l’opposizione in Parlamento di una sorta di partito trasversale.
Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 16 ottobre 2015