Spending review in quattro mosse: uffici periferici dello stato, acquisti, fabbisogni standard e assistenza sociale
Al ministero dell’Economia, chi lavora sui molti dossier della spesa pubblica è convinto che ci siano ampi margini per razionalizzare, risparmiare e semplificare. Ma rifiuta la parola tagli. Tanto più che le sforbiciate lineari degli ultimi esercizi di bilancio hanno sì ridotto i flussi di spesa. Producendo però anche ingiustizie.
Nel 2013, la spesa pubblica italiana peserà per 810 miliardi di euro sulle casse dello Stato. E sono poco più di 100 i miliardi sui quali si può ragionare nell’ottica di un contenimento delle uscite. Anche in considerazione del fatto che non poco, si fa notare, è stato realizzato nel triennio scorso: grazie alle manovre di bilancio approvate a partire dal 2010, la spesa primaria delle amministrazioni pubbliche si è infatti contratta cumulativamente dell’1,8%. E la riduzione, in termini reali, è stata del 5%
LE LINEE GUIDA Le aree sulle quali gli uomini del ministro Saccomanni sono pronti a lavorare sono essenzialmente quattro. Si parla di interventi per riorganizzare gli uffici periferici dello Stato (ad esempio prefetture ed uffici decentrati ) e si ragiona su come proseguire le azioni di riduzione di spesa sui prezzi di acquisto dei beni e servizi. Via XX Settembre intende inoltre applicare la logica dei fabbisogni standard alla spesa degli enti locali. Mentre sono previsti interventi sulla spesa per l’assistenza sociale, con la revisione dell’Isee e la costituzione di un archivio unificato delle prestazioni.
Come indicato anche dalla Corte dei corti, che sulla questione ha realizzato una severa indagine nel 2010, il ministero dell’Economia intende «conseguire rilevanti risparmi di spesa» da un’attenta opera di razionalizzazione delle numerose aziende controllate dalle regioni e dagli enti locali. Lo stesso ministro in una recente audizione parlamentare ha suggerito prudenza. C’è la consapevolezza che la spesa pubblica va ridimensionata.
Tuttavia «nel brevissimo termine molte voci di spesa sono rigide e non possono essere modificate in quanto molti dei fondi pubblici risultano già impegnati e gli operatori privati e pubblici hanno già programmato le attività». Insomma, i margini di manovra sono molto limitati.
Di certo, viene escluso che si possano sottoporre a cura dimagrante i consumi intermedi (in particolare acquisti di beni e servizi da parte delle Amministrazioni pubbliche).
Si stima che circa 30 miliardi su 85 riguardino il comparto sanitario che ha già registrato un calo significativo negli ultimi anni. Compreso l’ultimo. «Ulteriori tagli immediati rischierebbero di compromettere il corretto funzionamento dell’apparato pubblico», si avverte.
RICHIAMO AGLI ENTI LOCALI Risparmi significativi, secondo i tecnici ministeriali, sono invece realizzabili a partire dal 2014 ma questo, come ha sottolineato il ministro Saccomanni, «richiederà scelte politiche precise su quale ruolo debba avere lo Stato nella fornitura dei servizi di pubblica utilità e su quali settori privati siano da ritenersi strategici o meritevoli di sostegno». Un elemento che rimanda alla solidità e alla durata del governo Letta. Di certo, è questo il messaggio recapitato nelle ultime settimane a regioni, province e comuni, il contenimento della spesa è un impegno che chiama in causa anche gli enti locali che gestiscono risorse.
Il Messaggero – Michele Di Branco – 22 luglio 2013