Ammonta a circa 2 milioni di euro la somma già versata dalle Casse di previdenza dei professionisti allo Stato a titolo di risparmio sulle spese del 2012. Ma la cifra potrebbe essere molto più alta, considerando il dato non disponibile per alcuni enti e soprattutto la scelta di altri di non versare nulla in segno di protesta.
Tutto parte con la Spending Review, la legge 135/2012 che impone agli istituti previdenziali un risparmio del 5% per quest’anno e del 10% per il prossimo sui «consumi intermedi». Definizione tanto ampia che, in assenza di precise istruzioni, ha portato molte gestioni a interpretare «in casa» la norma e a regolarsi di conseguenza.
Fino a decidere anche di non rispettare la data del 30 settembre, magari accantonando comunque al proprio interno una cifra presunta che potrebbe però non uscire mai dall’ente qualora il 30 ottobre il Consiglio di Stato ritenesse illegittimo l’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni (legge 31 dicembre 2009, n. 196) che comprende anche gli enti privatizzati e privai. Ma andiamo per ordine
Chi ha versato e chi no. Al di là delle singole scelte, gli istituti pensionistici hanno reso noto di non condividere quello che all’unanimità è stato definito «un prelievo forzoso» che non trova riscontro in nessuna legge, considerando che alle casse dei professionisti è stata riconosciuta l’autonomia gestionale, prima, nel 1994 con la legge di privatizzazione (dlgs 509) e, poi, confermata nel 1996 (dlgs 103).
Tanto che l’Adepp (l’associazione alla quale aderiscono tutti gli enti tranne Enasarco) «ha deciso di impugnare le circolari ministeriali recentemente emanate ritenendo che non abbiano adeguate coperture di legge, laddove si prevede il versamento verso le casse dello Stato anche dalla parte di enti privatizzati che registrano entrate esclusivamente da versamenti contributivi». Accanto, però, a chi ha deciso di rispettare formalmente il vincolo di legge c’è stato chi (notai, medici, giornalisti e periti industriali) ha scelto di andare controcorrente ritenendo non dovuto il versamento.
Il giudizio amministrativo. L’attesa è tutta per la decisione del 30 ottobre del Consiglio di stato. In primo grado, nell’accogliere il ricorso dell’Adepp e delle altre casse per l’annullamento dell’elenco Istat, il Tar del Lazio spiegava che «la scelta del legislatore nazionale è stata quella di recepire integralmente il sistema statistico europeo nell’individuazione dei soggetti la cui attività comporta per la pubblica amministrazione un costo che si riflette pesantemente sul bilancio complessivo dello stato e sui quali è quindi necessario intervenire con misure restrittive diversamente quantificate.
E ciò a prescindere dalla loro natura giuridica (persona giuridica pubblica o privata) e dalle modalità previste per la nomina degli organi rappresentativi e di governo». Di conseguenza, nella compilazione dell’elenco «l’Istat ha ricompreso le “unità istituzionali” che ha riscontrato essere in possesso dei requisiti richiesti, per tale qualificazione, dal regolamento Ue n. 2223/96-Sec95».
In realtà, ciò che il Sec95 richiede, perché possa ritenersi che un’amministrazione pubblica eserciti il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di «influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe».
Per i giudici amministrativi, invece, «è indubbio che tale condizione non ricorre nel caso in esame perché incompatibile con la completa autonomia contabile, organizzativa, gestionale e finanziaria che l’art. 1, comma 1, dlgs 30 giugno 1994, n. 509 riconosce agli enti di previdenza privatizzati, che sono solo “vigilati” dai ministeri competenti. Ed è di palese evidenza che la “vigilanza” sulla loro attività è nozione del tutto diversa dal “controllo” richiesto dal normatore comunitario».
Ma con il ricorso dell’Istat in appello, la sentenza del giudice amministrativo ha ottenuto la sospensione fino al 30 ottobre. Spiegavano i giudici di palazzo Spada che se, da un lato, per l’istituto appellante (l’Istat) l’esecutività della sentenza può comportare dei danni, dall’altro, per gli appellati (le casse) «non si configurano gravi e irreparabili danni». Posizione, quest’ultima che, a distanza di qualche mese, dovrà fare i conti con chi lamenta un danno causato dalla sottrazione dei risparmi degli iscritti.
ItaliaOggi – 16 ottobre 2012