Il ministro Lorenzin invita alla cautela e auspica che il taglio del 3%, annunciato da Renzi, riguardi solo le spese ministeriali. In questo caso i risparmi ottenuti non supererebbero i 40 mln nei prossimi 3 anni, una cifra esigua rispetto all’obiettivo fissato dal premier. Altra ipotesi che resta sul campo è una sforbiciata del 3% sul Fondo sanitario che porterebbe ad un risparmio di oltre 3 mld in 3 anni. In questo caso, però, le Regioni annunciano battaglia
Era atteso nel pomeriggio di ieri, a Palazzo Chigi, il via ufficiale alle consultazioni tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e i rappresentanti dei vari dicasteri incaricati di trovare, all’interno dei rispettivi comparti, aree di spreco da eliminare in vista della prossima legge di stabilità. L’obiettivo del Governo è ufficiale ormai da giorni, come spiegato dallo stesso Renzi: si punta a tagliare 20 mld di spesa pubblica in 3 anni, coinvolgendo tutti i comparti della Pubblica Amministrazione.
La sanità verrà coinvolta in questa operazione? Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha invitato alla cautela. “Voglio essere ottimista sui tagli. Spero che il Fondo non venga toccato perché siamo nel mezzo di una grande riforma, nel Patto della salute ad esempio abbiamo messo l’obbligatorietà delle centrali uniche di acquisto coordinate con il Consip e approvato il patto della salute digitale”. Tuttavia, sottolinea che “se poi ci sarà una necessità reale dello Stato bisognerà affrontarla”. Bisogna però verificare a quali condizioni. “Se il taglio del 3% è al ministero, siamo in grado di reggere, diverso è per il Fondo sanitario”.
Più duri, invece, i toni del presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino. “A inizio agosto abbiamo firmato un patto d’onore col Governo con il Patto per la salute che ci ha impegnato, entro il 31 dicembre, a scrivere piani di riordino dei servizi sanitari e ha previsto un fondo da 109 miliardi di euro, con un aumento di circa 2 miliardi e mezzo in più l’anno per il 2015 e il 2016 per finanziare il Servizio sanitario nazionale”. Il governatore piemontese ha quindi avvertito, senza mezzi termini, che “se si rompe questo patto d’onore, si rompe anche il rapporto di fiducia e collaborazione che noi invece vorremmo proseguire”.
«Nessuno vuole tagli alla sanità ma nessuno vuole gli sprechi». E’ questo un primo commento di Palazzo Chigi alla dura presa di posizione arrivata dalla Conferenza delle Regioni sull’ipotesi circolata nelle ultime ore di una nuova spending review da 3 miliardi per il Ssn. Un chiarimento a metà che lascia comunque senza risposte. Che si tratti di tagli o di lotta agli sprechi, infatti, la fonte a cui attingere rischia di essere sempre la stessa: il Fondo sanitario nazionale (Fsn) destinato alle Regioni. Una spada di Damocle sulla testa dei governatori, già pronti a fare muro.
“Nel settore sanitario con il governo abbiamo ottenuto dei risultati straordinari, prima con il riparto del fondo tra le regioni, poi con l’approvazione del Patto della Salute. I patti si rispettano, soprattutto riguardo alle risorse previste per i prossimi 3 anni” ha aggiunto il governatore della Campania, Stefano Caldoro.
Deciso anche l’intervento del presidente veneto Luca Zaia, che non intende accettare ulteriori sforbiciate, pure a costo di mettersi di traverso. “Provino a tagliare un solo euro alla sanità veneta e mi troveranno personalmente steso di traverso sulla strada che vogliono percorrere di distruzione della sanità in Italia, in particolare dove, come in Veneto, ogni euro risparmiabile è già stato risparmiato senza aspettare i super esperti di turno. Qui da noi ridurre ancora la spesa equivarrebbe inevitabilmente a tagliare l’assistenza agli utenti. Ci pensino bene, prima che possa mettersi in moto una vera rivolta”. Dichiarazioni non certo concilianti, dettate anche dal fatto che il Fondo sanitario nazionale, negli ultimi 5 anni, ha già subito tagli per oltre 30 mld.
Tagli insostenibili per la Lombardia. «Un taglio dei fondi destinati alla sanità significherebbe la riduzione dei servizi e il rischio dell’aumento dei ticket. Non ci sono alternative». A spiegarlo è stato Massimo Garavaglia, assessore al Bilancio della Lombardia e coordinatore degli assessori regionali agli Affari finanziari al termine della Conferenza delle Regioni. «Sarebbe però soprattutto una sconfitta per il Governo – ha aggiunto Garavaglia – che aveva annunciato di aver messo in sicurezza i conti della sanità».
Secondo l’ex ministro Renato Balduzzi, i margini per razionalizzare la spesa ci sono. «Fornitura di beni e servizi, prezzi di riferimento, riequilibrio tra spesa ospedaliera e territoriale: queste le aree principali – spiega Balduzzi – dove poter fare operazioni di razionalizzazione della spesa sanitaria, senza compromettere i servizi. Aree peraltro già individuate dalla spending review del governo Monti».
«Bisogna uscire dalla logica dei tagli – continua l’ex ministro – è necessario razionalizzare e non ridurre la spesa». Secondo Balduzzi, infatti, «i tagli lineari costituiscono un alibi per le regioni non virtuose. E la revisione della spesa sanitaria del 2012 – conclude Balduzzi – non era costituita da tagli lineari, ma anzi dava strumenti per intervenire in aree critiche».
E per un altro ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia, andrebbe «reimpostata una politica del farmaco più attenta». «I medici, certo non tutti ma in generale – precisa – prescrivono troppo, mettendo in ricetta i prodotti più strani che spesso hanno un’efficacia molto limitata. Vanno quindi coinvolti nel taglio a questo spreco e va rivisto il prontuario terapeutico, cambiando i criteri sulla base dei quali fissare asticelle. Basta alla politica ‘molecole uguali prezzi uguali’. Basta con i ‘me too’, medicinali quasi ‘copia’ di altri già disponibili. Bisogna premiare la vera innovazione e ridisegnare le sperimentazioni cliniche con questo obiettivo».
Al momento non si ha certezza su come il Governo intenda raggiungere la quota dei 20 mld. L’unico dato sicuro, riguarda il taglio del 3% che il premier sembra intenzionato ad applicare ai vari Ministeri. Una percentuale – almeno al momento – poco chiara che, in mancanza di un riferimento certo, lascia aperta la strada a diverse ipotesi.
Le ipotesi. La prima riguarda l’applicazione di un taglio del 3% alla sola spesa amministrativa e gestionale dei singoli Ministeri. In questo caso, per quanto riguarda il dicastero di Lungotevere Ripa, si parte da un bilancio di 1 miliardo e 361 milioni. Applicando un taglio del 3%, si otterrebbero risparmi per quasi 41 milioni. L’importo, a fronte dei 20 mld complessivi di risparmi da ottenere, sembra davvero esiguo, specie se lo si considera spalmabile in tre anni. Numeri alla mano, questa prima ipotesi, nonostante le speranze del ministro Lorenzin, risulta poco probabile.
La seconda ipotesi sul campo, invece, consisterebbe nell’applicare questo taglio del 3% alla spesa riguardante l’intero comparto gestito dal Ministero della Salute. Quindi, non più sull’importo risultante dal bilancio, bensì sui 109 mld e 928 mln del Fondo sanitario nazionale 2014. In questo caso i risparmi sarebbero di 3 mld e 300mln che, spalmati su 3 anni, significherebbero una riduzione di spesa di circa 1 mld e 100 mln all’anno. Un risultato che, se applicato a tutti i Ministeri, renderebbe più che plausibile quel risparmio di 20 mld auspicato dal Governo.
C’è da dire, però, che verrebbe meno il primo punto di quel Patto per la Salute sancito con le Regioni: la certezza del budget. In questo caso lo scontro con le Regioni sarebbe cosa certa, ma l’ipotesi resta comunque valida, anche in virtù di quelle clausole di salvaguardia contenute nell’art. 1 dello stesso Patto che specificano come il budget indicato possa essere modificato “ in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico”.
Infine, bisogna aggiungere un’ultima ambiguità emersa dalle parole pronunciate dallo stesso Renzi negli ultimi giorni. Il premier, intervenendo a Porta a Porta, non ha escluso che questi 20 mld possano essere almeno in parte reinvestiti nei vari settori della PA per “poter essere spesi meglio”. Anche quest’ultima ipotesi sembra poco praticabile, soprattutto a fronte della dichiarata volontà di diminuire ulteriormente la pressione fiscale, specie per le imprese. Ridurre la pressione fiscale senza abbattere la spesa pubblica, ma reinvestendo i risparmi ottenuti, significherebbe, infatti, peggiorare il rapporto deficit/Pil.
QS – Giovanni Rodriquez, Gennaro Barbieri – 11 settembre 2014