Dopo il decreto su Palazzo Chigi ed Economia si lavora a una riduzione degli organici anche negli altri ministeri. Sindacati in allarme: rispettare le intese sottoscritte
II primo passo c’è stato la scorsa settimana con la decisione del governo di ridurre il numero dei dipendenti della Presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia (Mef). Con un decreto di Palazzo Chigi si è stabilito che i dirigenti dovranno calare del 20% e il resto dei dipendenti del 10%. Ma il governo punta ad allargare la platea dei potenziali esuberi ad altri ministeri e settori della pubblica amministrazione. Un “pacchetto statali” che potrebbe essere agganciato al primo vagone della spending review del supercommissario Enrico Bondi in arrivo entro al prossima settimana. Per quanto riguarda l’eventuale riduzione del numero degli statali a complicare i calcoli c’è il fatto che la pianta organica in taluni settori è più ampia del numero effettivo dei dipendenti.Al Mef ad esempio, secondo fonti sindacali, sulla carta ci sarebbero oltre 12.600 dipendenti ma quelli effettivi sarebbero poco più di I I mila. In questo caso quindi il preannunciato taglio del 10% sulla pianta organica sarebbe teorico, indolore sul piano concreto. In altri settori la situazione è diversa e una riduzione determinerebbe un’eccedenza di personale.
Un altro criterio che si sta prendendo in considerazione è quello dell’età dei dipendenti: nel mirino ci sarebbe chi ha superato i 60 anni o i 40 anni di contributi. Personale che potrebbe essere collocato in mobilità per un periodo fino a due anni, con un’indennità pari all’80% dello stipendio (ma meno se calcolato sull’intera retribuzione) fino a raggiungere l’età della pensione. Si tratterebbe di una nuova sorta di esodati, stavolta pubblici. Gli (lover 60 nell’insieme della Pa sono circa il 7%, cioè la bellezza di 231 mila persone. Se la misura dovesse essere limitata ai ministeri e agli enti centrali, la platea si ridurrebbe a circa 25mila unità. Il decreto sulla spending review punta a reperire risorse per il solo 2012 per circa 5 miliardi di euro,ai quali potrebbe aggiungersi la stretta sugli uffici pubblici. L’obiettivo dell’esecutivo è evitare un ulteriore aumento dell’Iva, ma servono fondi anche per l’emergenza terremoto e per coprire gli oneri delle missioni di pace e della manutenzione delle strade e delle ferrovie.
II conto sale così intorno ai 7 miliardi. Oltre al Mef e a Palazzo Chigi un contributo sarebbe richiesto ai ministeri dell’Interno, degli Esteri e della Difesa. Sui costi del personale pubblico incide anche l’alto numero di promozioni a livello dirigenziale. Una consuetudine a cui il governo vuole mettere un freno anche se i diritti acquisiti non vanno toccati e gli eventuali risparmi potrebbero esserci nel corso del tempo. Lo scenario non è ancora definito ma per i sindacati degli statali è già abbastanza allarmante. «Siamo preoccupati per l’approvazione del Dpcm sulla revisione della spesa, perché contraddice i contenuti dell’intesa raggiunta tra governo, sindacati ed enti locali», affermano le federazioni del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil riferendosi all’accordo sulla riforma del lavoro pubblico. Le organizzazioni temono «strappi» dicono no a nuovi «tagli lineari» chiedendo un incontro immediato al ministro Patroni Griffi «per verificare la sussistenza di quell’accordo».
L’Avvenire – 19 giugno 2012