di Andrea Malaguti. I fotografi spingono. Cercano l’angolo giusto per immortalarle. Litigano. E loro, Maria Elena Boschi e Marianna Madia, la Giaguara e La Vergine Botticelliana, la Grande Bellezza del Centrosinistra, sfilano nel salone delle Feste sfiorando le consoles ottocentesche dell’ebanista Luca Seri. Sono il Nuovo che Avanza. Le trentatreenni ministre delle Riforme e della Pubblica Amministrazione, le donne chiamate a risistemare la Macchina Paese.
A ottimizzarne le risorse, a ridefinirne i percorsi istituzionali. A sburocratizzare lo sburocratizzabile. Un’impresa titanica, consegnata più che alle loro spalle eleganti, ai loro fragili e interessanti curricula. Davvero sono la meglio gioventù?
La Boschi indossa un vestito blu che fa esclamare a un paparazzo: «Un supereroe della Marvel!». Capitan America, probabilmente. Il tacco quindici regge la scarpa beige. La Madia, in nero, avanti con la gravidanza, si siede di fianco alla collega. Sfoderano facce appositamente impostate per finire nell’archivio storico della giornata. Giurano. Il volo verso la gloria è completo. I problemi iniziano ora.
Per la Vergine Botticelliana, accusata dai nemici di voltagabbanismo cronico (da Letta a Veltroni, da D’Alema a Renzi), comincia mezz’ora da panico. Si allontana dal salone con passo felpato, le telecamere la inseguono. Si ferma. Si concede. Ha la voce morbida. Prova a dire una cosa molto seria, che dovrebbe servire a spingere gli interlocutori a smetterle di guardarle la pettinatura. Funziona. «Cambieremo le priorità. Partiremo da una maggiore attenzione sui dirigenti». Ops. Che cosa vuole dire, ministro? Devono preoccuparsi? «No. Assolutamente. Ma come ha detto spesso Matteo Renzi cercheremo di far sì che ci sia una giusta mobilità nei loro incarichi che ne valorizzi le professionalità. E mi concentrerò sulla precarietà». Un corazziere, geniale, dice quasi senza muovere la bocca: «speriamo che l’hashtag non sia #dirigentieprecaristatesereni». La Madia esce dal Quirinale e scende la scalinata di via della Dataria diretta a palazzo Chigi. Ancora domande. Ha paura, ministro? Sgrana gli occhi. «Se anche l’avessi non ve lo direi. E’ un errore che ho già fatto una volta». Enrico Lucci, delle Iene, le si mette alle costole. «Perché lei è ministro e io no? Solo perché lei ha la pancia», ripete ossessivamente. La Vergine Botticelliana, evidentemente infastidita, prova a ignorarlo. Fa tenerezza. Lucci si sfila la camicia dai pantaloni. E mostra la sua di pancia. Orribile. Il modo. E anche la pancia. Così è la ministra a cercare i giornalisti. «Aspetto una bambina. Dunque nella squadra di governo ci sono più donne che uomini. Certo la nonna sarà di grande aiuto». Lucci la molla. Lei allunga il passo. Si rilassa. «Ieri un vostro collega mi ha mandato un sms con l’indirizzo del ministero. Questa volta vedrò di non sbagliare». Diventa un puntino lontano.
Circa due ore più tardi è Maria Elena Boschi ad affrontare la selva delle telecamere. La pigiano. Chiede spazio. Usa il copione classico. «Siamo consapevoli della responsabilità, ma siamo pronti. C’è da affrontare il problema importante delle riforme a cominciare dalla legge elettorale. Vogliamo ridare speranza agli italiani. Grazie». Ha poca esperienza e spesso, in questi casi, un disagio controllato finisce per avere la meglio sull’urgenza di dire e quel «grazie» è il suo modo signorile per gridare: lasciatemi andare, mi soffocate. Lungo via del Corso un ragazzo le canta «I’ve got you under my skin» maltrattando Frank Sinatra. Le forze dell’ordine la proteggono. Applausi. Risolini. Foto. Qualche cronista le resta attaccato. Paura? «No». Ma stanotte ha dormito? «Benissimo. Questo non significa che non comprenda la complessità del compito». E il vestito dove l’ha preso? La Giaguara si attesta su un quarto di sorriso, più legato alla cortesia che alla serenità. «Eddai», sussurra. Più tardi twitterà: «Oggi un nuovo inizio, con umiltà e determinazione. Noi ci siamo. #lavoltabuona». Perché al momento, sballottata da questa giostra surreale, le sembra più opportuno apparire appagata che compiaciuta.
La Stampa – 23 febbraio 2014