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Spesa sanitaria. Siamo ultimi in prevenzione nell’Unione europea

Il confronto internazionale. Il denominatore comune nell’Unione è la frenata della spesa. A metà classifica per spesa sanitaria con 2.282 euro pro capite dopo Regno Unito e Spagna, Paesi con sistemi più simili al nostro

Non è un’Italia spendacciona quella che emerge dal raffronto tra i sistemi sanitari dei partner europei. Anzi. A dimostrarlo sono tre degli indicatori principali in materia di spesa per la salute, rilevati dal rapporto OcseUe «Health at a glance: Europe 2012». La spesa sanitaria pro capite, il numero di posti letto egli investimenti in prevenzione descrivono un Paese parsimonioso, a volte avaro di risorse, soprattutto nelle strategie per la diffusione di corretti stili di vita.

Con 2.282 euro a persona l’Italia si trova più o meno a metà classifica nell’Ue per la spesa sanitaria pro capite del 2010, dopo Regno Unito (2.636 euro) e Spagna (2.345 euro), i Paesi che hanno sistemi sanitari più simili al nostro. Ma sul fronte della prevenzione le cose vanno decisamente male: con lo o,5% della spesa sanitaria totale destinata a politiche per la salute collettiva ea campagne di prevenzione, il nostro Paese si trova infatti all’ultimo posto trai partner comunitari, ben al di sotto della media Ue, pari al 2,9 per cento. Persino Malta, Lituania ed Estonia spendono più di noi. Una scelta che anche in tempi di spending review rischia di rivelarsi un boomerang meno prevenzione, si sa, equivale a una spesa maggiore in termini di assistenza e di cura. Il clima generale nella Ue è quello di un continente che negli ultimi anni sta stringendo la cinghia. La crescita che si registrava fino a qualche anno fa è oggi in frenata un po’ ovunque: il dato medio della spesa totale (pubblica e privata) perla salute rispetto al prodotto interno lordo è pari al 9% del Pil, in aumento rispetto al 7,3% registrato nel 2000, ma in lieve calo rispetto al picco del 9,2% riscontrato nel 2009. Nel 2010 i Paesi Bassi stanziavano la maggior quota del Pil a favore del settore sanitario (12%) seguiti da Francia e Germania (entrambi con 1’11,6%).

Anche in questo caso l’Italia si trova a metà classifica, con il 9,3% del Pil. Tra le conseguenze:blocco di stipendi e turn over del personale sanitario, aumento dei ticket che le famiglie devono pagare per certi servizi e certi medicinali, imposizione di rigorosi obblighi di bilancio agli ospedali, che comunque nei budget per la salute rappresentano una delle voci più pesanti. Non desta quindi meraviglia che il dossier Ocse-Ue rilevi una vera e propria emorragia di posti letto tra il 2000 e il 2010. Non c’è un solo Paese, a eccezione della Grecia, che nel decennio abbia aumentato o almeno tenuto sta-bile il numero di posti letto. Contro una variazione media nell’Ue-27 pari a -1,9% l’Italia ha tagliato il 2,9 per cento. Si tratta di un record assoluto, surclassato soltanto dalla Lettonia (-4,8 per cento) e detenuto ex aequo con l’Estonia. Per il resto, gli Stati europei, pur avendo generalmente diminuito la disponibilità per i ricoveri, hanno comunque subito una minore contrazione (l’Austria solo un -0,4%, la Spagna -1,1 per cento). Il risultato? Nel 2010 in termini di valori assoluti su mille abitanti la media dei Paesi europei si attesta sui 5,3 posti letto. Sotto questa soglia ancora una volta l’Italia (in buona compagnia, va detto) con 3,5 posti per 1.000 abitanti. A detenere il primato negativo per la minore dotazione di letti in ospedale è la Svezia con 2,7 unità per 1.000 abitanti. Un prezzo che i cittadini di tutta Europa hanno di fatto pagato alla crisi economica. La questione numero uno, quando si ragiona sulla sostenibilità dei sistemi sanitari pubblici finanziati dalla fiscalità generale. L’alternativa del ricorso a forme assicurative private per la copertura della spesa è ancora una terra da esplorare. Questa strada, dice il rapporto Ue-Ocse, è percorsa con un passo più deciso da solo sei Paesi. Gli Stati portabandiera sono la Francia (96% della popolazione), i Paesi Bassi (89%) e il Belgio (78,9 per cento).

di Flavia Landolfi – Rosanna Magnano – Sole 24 Ore di venerdì 15 febbraio 2013

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