L’agenzia registra il «forte aumento del debito, accompagnato da una crescita debole e da una bassa competitività». Un’economia sempre più debole e una costante erosione della competitività da una parte, riforme che sono sì promettenti, ma che non daranno comunque benefici nel brevissimo termine dall’altra.
È sostanzialmente con queste motivazioni che Standard & Poor’s è intervenuta ieri in serata per abbassare il giudizio di merito sul debito pubblico italiano a medio termine, che passa così «Bbb-» da «Bbb» («A3» da «A2» il rating sul debito a breve), ovvero l’ultimo gradino prima di diventare «junk», «spazzatura». Una decisione non del tutto attesa, forse, ma che occorreva tenere in conto visto l’orientamento negativo che l’agenzia di rating manteneva nei confronti del nostro Paese.
Nella sua analisi, S&P tende a sottolineare come dall’epoca dell’ultimo pronunciamento (giugno 2014) sia stato soprattutto il contesto economico (nazionale e globale) a peggiorare: gli analisti hanno infatti ridotto le stime medie sul Pil italiano reale e nominale nel periodo 2014-2017 rispettivamente allo 0,5% e all’1,2% dall’1% e 1,9%, tenendo anche a ricordare che la «persistente bassa inflazione e un difficile contesto in cui si muovono le imprese continuano a pesare sulle prospettive economiche».
L’Italia, secondo S&P, uscirà dalla recessione «nei primi mesi del 2015», ma lo farà soltanto per realizzare una crescita modesta il prossimo anno, dello 0,2% anziché dell’1,1% precedentemente indicato, e inferiore a quella indicata nella legge di stabilità 2015. «Riteniamo che i consumi saranno frenati dalla difficile situazione sul mercato del lavoro, dove la disoccupazione viaggia a livelli storicamente elevati, e allo stesso tempo che l’attività di investimento resti debole a causa dell’incertezza sulla domanda», spiegano gli analisti.
Tutto ciò non potrà non pesare sulle dinamiche dei conti pubblici, che poi sono quelle che contano davvero per l’agenzia. Proprio per questo S&P proietta adesso il debito italiano fino a un massimo del 133% rispetto al Pil nel 2016 e in termini assoluti a 2.256 miliardi di euro entro la fine dell’anno successivo (cioè 80 miliardi in più rispetto alle stime di giugno), con un rapporto deficit/Pil medio al 2,7% nel periodo 2014-2017 (più elevato rispetto al 2,5% delle previsioni precedenti e soprattutto al 2,1% indicato dal Governo): cifre che, unite alla persistente bassa crescita e all’erosione della competitività, «non sono più coerenti con un rating Bbb».
L’agenzia non manca, nella propria analisi, di dare un riconoscimento alle riforme attuate e progettate dal Governo: queste sono insieme alla forza dei bilanci delle famiglie italiane e alle politiche fortemente espansive della Bce uno dei motivi alla base del miglioramento dell’outlook, che passa così a «stabile» da «negativo». Sul tema riforme, in particolare, gli analisti citano direttamente il premier Matteo Renzi e i progressi realizzati con il Jobs Act, ma si augurano anche che i nuovi interventi sul mercato del lavoro concludano il proprio iter senza essere snaturati: «Consideriamo il passaggio di una riforma del mercato del lavoro non annacquata – si legge nella nota che ha accompagnato il declassamento – come un segnale importante della determinazione del Governo a perseguire politiche adatte a un membro di un’unione monetaria che include alcuni fra gli esportatori più competitivi a livello mondiale».
Il pericolo, sottolineato a chiare lettere da S&P, in questo caso è rappresentato dal possibile indebolimento della riforma in fase di redazione dei necessari decreti attuativi: «Questo potrebbe accadere nel caso in cui il Governo dovesse affrontare una crescente opposizione nell’elettorato colpito negativamente dalle sue politiche, a maggior ragione in un contesto di persistente bassa crescita economica», avvertono gli analisti.
Nel complesso, una maggior flessibilità sul mercato occupazionale potrebbe secondo l’agenzia «accelerare l’aggiustamento dei salari e ridurre il processo di riduzione dei posti di lavoro», tuttavia non è detto che la riforma «possa creare nuova occupazione nel breve termine». C’è insomma un chiaro riconoscimento da parte di S&P delle mosse del governo Renzi, sia quelle riguardo al mondo del lavoro, sia quelle legate al consolidamento fiscale. Al tempo stesso però le parole dell’agenzia contengono anche un avvertimento a non attendersi risultati immediati e soprattutto a portare a termine le previste riforme senza annacquamenti.
Al contrario, S&P potrebbe prendere in considerazione un miglioramento del rating «se il governo dovesse rendere pienamente effettive riforme del mercato del lavoro, del sistema produttivo e dei servizi che possano portare a un incremento sostenibile della crescita economica italiana e avviare il debito pubblico e il deficit di bilancio verso una chiara traiettoria al ribasso». La via verso l’uscita della crisi è dunque piuttosto chiara per S&P.
Il Sole 24 Ore – 6 dicembre 2014