Rush finale per il decreto su quota 100 e reddito di cittadinanza. La Ragioneria generale, a cinque giorni dal Consiglio dei ministri che ha varato il provvedimento, ha terminato il lavoro di drafting, cioè di raccordo e limatura del testo, e si accinge a bollinare, cioè a dare il suo via libera alle compatibilità tra norme di spesa e risorse, come stabilisce l’articolo 81 della Costituzione. Il testo potrebbe arrivare al Quirinale tra oggi e domani.
L’ultimo scoglio è stato il Tfs degli statali, cioè il trattamento di fine servizio, in pratica la liquidazione. La questione, giocata praticamente tutta in casa leghista, riguarda i tempi di erogazione del Tfs per i “quotisti”, cioè coloro che matureranno i requisiti quest’anno: normalmente i dipendenti pubblici che vanno in pensione devono attendere da uno a due anni a seconda delle condizioni. Il testo prevede che potranno avere un anticipo di 30 mila euro che, secondo quanto dichiarato dal viceministro Garavaglia, potrebbe anche essere più congruo. L’anticipo sarà erogato dalle banche, i pensionati pagheranno gli interessi ma in cambio avranno uno sconto fiscale sulla liquidazione di 1- 2 punti sull’aliquota. Dunque una spesa per lo Stato di circa 200 milioni.
Tuttavia – e questo è stato il nodo delle ultime ore – lo sconto fiscale per i “quotisti” avrebbe creato una situazione di disparità con gli altri pensionati dello Stato, che sono andati in pensione uno o due anni fa, e che nel 2019 incasseranno la liquidazione. Questione di rilevanza costituzionale che è stata risolta allargando lo sconto sull’aliquota all’intera platea di coloro che riscuoteranno il Tfs quest’anno. Entrambe le misure hanno un costo che, almeno secondo le ultime valutazioni, è di circa 400 milioni e che sarà coperto con un aumento della tassazione dei giochi peraltro già in ballo.
La questione, come tanti altri aspetti oggetto di serrato dibattito negli ultimi giorni, dimostra come sui conti pubblici ci si muova sempre sul filo del rasoio. Due le variabili che continuano ad agitare il dibattito: il forte rallentamento dell’economia che quest’anno, secondo Bankitalia e Fmi, dovrebbe arrestarsi allo 0,6 per cento e il conseguente rischio di aumento del deficit oltre la soglia prevista dal governo del 2,04 per cento del Pil.
Nonostante le stime negative il governo continua tuttavia a dimostrarsi ottimista. Il maggiore slancio lo ha dimostrato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ieri a Davos: « La crescita del Pil potrebbe arrivare all’ 1,5 per cento quest’anno » , ha detto in una intervista a Bloomberg Tv. Un tasso di crescita più alto di quello fissato dal governo nella legge di Bilancio, pari all’ 1 per cento, e uguale a quanto l’esecutivo contava di raggiungere prima dei negoziati con Bruxelles che hanno imposto un taglio di 10 miliardi alla manovra.
Più cauto il ministro dell’Economia Giovanni Tria secondo il quale il governo aveva « già previsto fin da settembre e poi, progressivamente a ottobre e a novembre il rallentamento dell’economia » . Dunque, ha aggiunto il ministro, « non ci sorprende » . Reiterando la polemica con Commissione e Fmi, ha aggiunto: « Se avranno ragione o no è difficile dirlo, nel senso che si tratta di stime e previsioni e, soprattutto nelle fasi di rallentamento, le stime sono sempre più complesse». Comunque Conte e Tria hanno detto « no » alla eventualità di una manovra- bis.
Rassicurazioni anche sulla stabilità finanziaria dell’Italia. Conte ha rilevato che con quota 100 il sistema rimarrà «sostenibile » e che l’esposizione ai derivati del sistema bancario è «molto bassa». Tria ha detto di aspettarsi che lo spread «continuerà a scendere».
Repubblica