Quasi ventitremila euro in media in meno dei loro colleghi uomini nella stessa posizione dirigenziale, dodicimila se si tratta invece di una donna medico. La differenza lavorativa e retributiva in Veneto c’è ancora. E perfino ai livelli più alti, almeno secondo un calcolo dell’ufficio della consigliera regionale di parità della Regione Veneto presentato ieri agli Stati generali delle donne del Veneto, all’hotel Bologna di Mestre.
«In Europa è chiaro che le aziende più competitive sono proprio quelle miste – dice Mirta Corrà, consigliera regionale di Parità – ma in Italia e in Veneto il concetto passa a fatica».
Un esempio? Le donne venete laureate tra i 30 e i 34 anni sono il 22 per cento, gli uomini solo il 17 per cento ma nonostante questo esiste ancora un gap a livello occupazionale (nella stessa fascia di età gli uomini impiegati arrivano al 73 per cento, le donne al 53 per cento). «L’Italia per le politiche di genere è al sessantanovesimo posto – dice Franca Longo referente veneta degli Stati generali delle donne – tradotto significa che su queste tematiche siamo ampiamente fuori dall’Europa. Devono essere varate nuove normative e bisogna cambiare mentalità».
Un esempio su tutti: la maternità. Che ancora oggi nel 2015 viene vissuta come un problema in quasi tutti i luoghi di lavoro. «Si tratta solo di organizzarsi – dice Corrà – mi sembra ridicolo quando i datori di lavoro dicono che non sanno come gestirla.. ci sono nove mesi di tempo per prepararsi».
Con loro ieri tra le altre anche Simonetta Tregnago, la presidente della commissione pari opportunità del Veneto, Franca Porto, segretaria generale Cisl Veneto e Tiziana Basso della Cgil Veneto. Che hanno raccontato un Veneto a due colori. Se da un lato infatti le donne avrebbero risentito meno della crisi rispetto agli uomini, perché prevalentemente occupate in settori (come il terziario) meno in crisi del manifatturiero, dall’altro sarebbero maggiormente costrette a posizioni lavorative di bassa qualifica, sicuramente più vulnerabili e legate a part time spesso non volontari.
Non dappertutto però. C’è anche la «Keyline» di Conegliano di Mariacristina Gribaudi, che quando la crisi ha cominciato a farsi sentire ha deciso di puntare tutto sulle donne. «Erano momenti difficili e mi sono detta: voglio ripartire nel modo giusto – spiega Gribaudi – chi assumere se non donne giovani? Sono stufa di sentire discorsi sulle quote rosa come se fossero concessioni pietistiche. Io ho assunto donne perché le ritenevo strategiche per la mia azienda».
E infatti in dieci anni la «Keyline» è passata da tre a trenta milioni di fatturato stabile, con una percentuale di addette donne che arriva al 38% (in un’azienda metalmeccanica).
Solo che Mariacristina Gribaudi, madre di sei figli e imprenditrice non ha dimenticato nulla. A partire dai calendari sexy, prima diffusi nelle officine e di colpo spariti nei cestini, fino al welfare per le sue operaie. «Abbiamo fatto convenzioni con asili nido, centri di medicina, ma anche ristoranti e agenzie viaggi perché chi lavora ha anche una vita familiare e io non ho nessuna intenzione di dimenticarmene – spiega – risultato? Quest’anno abbiamo avuto per fortuna una commissione all’improvviso e tutti i miei dipendenti si sono dimostrati disponibili a fare delle ore di straordinario. Perché l’azienda, in fondo, è un po’ anche loro».
Alice D’Este – Il Corriere del Veneto – 9 giugno 2015