È una protesta senza precedenti. Una mobilitazione che rischia di mettere in scacco le istituzioni. Perché la decisione presa da sindacati e rappresentanze delle Forze Armate di scioperare contro il blocco degli stipendi annunciato dal ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia per il 2015, mette per la prima volta gli apparati dello Stato contro lo stesso Stato.
E fa ben comprendere quanto ormai sia alto il livello di malessere all’interno di quelle strutture chiamate a garantire la sicurezza dei cittadini. Tanto che la richiesta immediata è quella di «dimissioni di tutti i capi dei vari corpi e dipartimenti, civili e militari, e dei relativi ministri poiché non sono stati capaci di rappresentare i sacrifici, la specificità, la professionalità e l’abnegazione del proprio personale». Mossa eclatante che si affianca a quella dei leader di Cgil, Cisl e Uil secondo i quali «la mobilitazione dei lavoratori pubblici è inevitabile». Anche se in serata, dopo l’apertura di Renzi, i sindacati di Polizia giudicano «positiva la disponibilità al confronto».
Il comunicato congiunto diramato ieri pomeriggio dai sindacati della polizia, della penitenziaria, del corpo forestale, dai vigili del fuoco e dai Cocer di Esercito, Marina, Aeronautica, carabinieri e Guardia di Finanza usa toni durissimi. E ben evidenzia quale sarà il livello di scontro. «Quando abbiamo scelto di servire il Paese, per garantire difesa, sicurezza e soccorso pubblico — denunciano le rappresentanze di base — eravamo consci di aver intrapreso una missione votata alla totale dedizione alla patria e ai suoi cittadini con condizioni difficili per mancanza di mezzi e di risorse. Quello che certamente non credevamo è che chi è stato onorato dal popolo italiano a rappresentare le istituzioni democratiche ai massimi livelli, non avesse nemmeno la riconoscenza per coloro che, per poco più di 1.300 euro al mese, sono pronti a sacrificare la propria vita per il Paese».
La nota sottolinea «i sacrifici e i maltrattamenti sinora ricevuti dalle donne e dagli uomini in uniforme» e poi annuncia le iniziative «dopo aver verificato la totale chiusura del governo ad ascoltare le esigenze per garantire il funzionamento del sistema nonostante le numerose richieste di incontro rivolte al presidente del Consiglio»: sciopero generale. Ma non solo: «Nello spirito di servizio e di totale abnegazione per continuare a garantire la difesa, la sicurezza e il soccorso pubblico al nostro Paese, qualora nella legge di Stabilità sia previsto il rinnovo del blocco del tetto salariale, chiederemo le dimissioni di comandanti e ministri. La frattura che si creerebbe in tale scenario sarebbe insanabile; per questo diciamo che in tale ipotesi, o restano loro oppure tutti quelli che si sacrificano, ogni giorno e in ogni angolo del Paese e dell’intero mondo per garantire sicurezza e difesa».
Sindacati e Cocer hanno anche stabilito di «sensibilizzare la società civile sui rischi che corre compiere azioni di protesta su tutti i territori con la denuncia di tutte le disfunzioni, le esposizioni al rischio, sinora accettate nell’interesse supremo del servizio, nonché le scorte e i privilegi che la casta continua a preservare e che, nonostante i roboanti annunci sinora fatti dal governo, a oggi non sono stati né eliminati né ridotti preferendo, per far quadrare i conti, penalizzare gli unici soliti noti contribuenti del nostro Paese, i dipendenti pubblici e i pensionati». I rappresentanti dei carabinieri ieri sono entrati nel Cie di Roma proprio per «verificare il rispetto delle normative e nelle prossime settimane continueremo a visitare e a denunciare tutte le inefficienze governative».
F. Sar. Il Corriere della Sera – 5 settembre 2014