«Quel che è stato è stato, scordiamoci il passato». È all’insegna della cautela l’applicazione da parte delle Regioni dei nuovi controlli sui costi della politica, fissati dal decreto legge 174 di ottobre per rispondere agli scandali scoppiati a catena dal Lazio alla Lombardia.
Uno dei capitoli più spinosi è rappresentato dai finanziamenti ai gruppi politici, che per esempio nel Consiglio regionale del Lazio avevano visto moltiplicarsi per141a dote attraverso sei deli-bere votate all’unanimità dall’ufficio di presidenza, e che dopo l’emergere dei numeri rutilanti della Pisana avevano spinto le Fiamme Gialle in svariati parlamentini. Com’è ovvio in una normativa nata sull’onda dei casi di cronaca, proprio questo tema è passato rapidamente dai titoli di giornale alla «Gazzetta Ufficiale», con una legge che ha messo in mano l’intera partita ai giudici della Corte dei conti. Il primo articolo del decreto obbliga infatti tutti i gruppi politici (221, nell’ultima legislatura) a mettere nero su bianco le proprie spese in un rendiconto, che viene poi trasmesso dal presidente della Regione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Il tutto deve avvenire in fretta, entro il 1 marzo di ogni anno, perché chi non si mette in regola non ha diritto a ottenere un euro e deve restituire le somme eventualmente già incassate nel corso dell’anno. Le Regioni hanno autonomia legislativa, per cui devono rivedere le proprie norme per adeguarsi alla nuova regola della trasparenza; lo stanno facendo, ma spesso interpretando in maniera “comoda” l’entrata in vigore della norma dal 1 gennaio 2013. Per capire come, basta guardare la legge 16/2012 varata il dal Piemonte due giorni dopo l’ultimo Natale. L’articolo 17 regola puntualmente la scrittura dei rendiconti, l’obbligo di farli certificare da un revisore esterno, la loro pubblicazione in allegato al bilancio del consiglio, il controllo della Corte dei conti e l’azzeramento degli assegni per chi prova a svicolare. Un meccanismo perfetto, che però nei nei fatti partirà davvero solo nel 2014, perché una norma transitoria (articolo 20) si accontenta
per quest’anno di chiedere ai gruppi una semplice «nota riepilogativa» delle spese, che se ne starà tranquilla all’interno del consiglio senza essere trasmessa alla Corte dei conti. Un sistema simile si incontra in altre Regioni, dalla Valle d’Aosta (l.r. 35/2012) alla Puglia (Lr.34/2012), e ha la conseguenza ovvia di svuotare i nuovi controlli. Da quest’anno, infatti, i fondi ai gruppi non possono superare i 5mila euro annui per consigliere, pena il taglio dell’8o% ai trasferimenti statali (esclusi sanità e trasporto pubblico). I giudici contabili, secondo queste norme regionali, sarebbero quindi chiamati a esercitarsi sui rendiconti «puliti» del 2013, lasciando al loro destino le spese più allegre che hanno caratterizzato il 2012.
Il Sole 24 Ore – 16 gennaio 2013