La nuova lista dei tagli alla spesa pubblica del commissario Carlo Cottarelli comincia a prendere forma. Cancellato per volontà politica il capitolo «pensioni», restano consistenti quelli relativi agli «acquisti di beni e servizi» per circa un miliardo e ai «trasferimenti alle imprese», per circa 1,4 miliardi.
Ma c’è una voce che va crescendo, quella relativa al «taglio degli stipendi dei dirigenti pubblici», che nella versione sottoposta a palazzo Chigi cifrava un miliardo e mezzo spalmato equamente su tre anni, ma che ora rischia di crescere, soprattutto per l’anno in corso. «Una riduzione della retribuzione dei dirigenti era già stata proposta a settembre 2013 – scriveva Cottarelli nel suo report – anche se in misura più contenuta di quella qui proposta, attraverso l’imposizione di tetti alla retribuzione». Quello che si starebbe valutando ora è la possibilità di bloccare per il 2014 l’erogazione dei premi di risultato che valgono il 10-15% dei 28 miliardi di costo degli stipendi della dirigenza con un risparmio di circa tre miliardi, se si bloccasse per intero. Ma anche qui è possibile che il sistema che verrà attuato preveda tetti e sottotetti, come quello che è stato escogitato per i manager delle società pubbliche.
Intanto venerdì scorso la Corte Costituzionale ha sciolto un’incognita che pendeva come un macigno sui conti dello Stato, fornendo un’ulteriore spinta verso la decisione di bloccare la retribuzione accessoria dei dirigenti. Con sentenza 61/2014 la Consulta ha promosso il blocco alla retribuzione di risultato introdotto nel 2010 dal governo Berlusconi, respingendo il ricorso della Provincia autonoma di Bolzano.
Quella legge disponeva che, per il 2011, 2012 e 2013, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, compreso il trattamento accessorio, non potesse superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010. Quella norma, secondo la Corte, è legittima anche quando è imposta a Regioni e Province autonome.
Diversamente da così, nel 2012 era stato rimosso dalla Corte il comma due dello stesso articolo quello che, «in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea», imponeva una riduzione percentuale delle retribuzioni dei dipendenti pubblici nella parte in cui superavano certi limiti.
Supera invece ora l’esame della Corte il comma successivo, proprio quello che prevedeva «a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013» che «l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale», non potesse superare l’importo dell’anno 2010. Un viatico per il governo Renzi.
Antonella Baccaro – Corriere della Sera – 30 marzo 2014