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Tagli, i timori di Zaia. «Di questo passo ai cittadini servirà una polizza sanitaria». Baban alla politica: «Ci servono leadership e fiducia»

«Prima il taglio di 230 milioni di euro. Poi i medici diffidati dal prescrivere 208 prestazioni ai loro pazienti. Per il 2016 è prevista una nuova sforbiciata. Ci si è indignati tanto per la manovra della Regione, accusata di “smantellare il Sociale”, ma qui mi pare che non ci si renda conto di cosa ci attende in futuro. Siamo ad un passo dalla deadline , rischiamo seriamente di dover dire ai cittadini che se si vogliono curare sarà meglio che si assicurino. Andiamo a grandi passi verso un sistema di tipo privatistico, basato sulle polizze integrative».

È uno Zaia furibondo, quello che esce dalla Conferenza dei Presidenti di Regione a Roma, convocata per discutere della legge di Stabilità, e sale sul palco di «Italie-Veneto», l’evento organizzato dal Corriere della Sera all’Orto Botanico di Padova per il lancio dell’inserto dedicato alla nostra Regione, «Il patrimonio rigenerato».

Il direttore del Corriere , Luciano Fontana, gli chiede cosa intenda dire quando avverte: «Il Veneto resta sulle barricate» e come pensi di portare avanti questa battaglia contro il governo Renzi. Zaia va giù piatto: «La situazione è critica e a dirlo, ormai, non sono più soltanto i governatori di centrodestra. Anche quelli di centrosinistra si sono accorti che quello in atto è un vero e proprio attacco alle Regioni. Un attacco, però, che non colpisce l’istituzione ma i cittadini, a cominciare dall’offerta sanitaria, ridotta giorno dopo giorno. Stare sulle barricate significa che il Veneto non ci sta a rimettere le mani nelle tasche della gente. Siamo gli unici a non aver imposto l’addizionale Irpef e non lo faremo mai». La soluzione, secondo il governatore, è soltanto una, sempre quella: «Costi standard. Che però non vengono applicati neppure in questa manovra, né in sanità, né negli altri settori, nonostante si sia calcolato che farebbero risparmiare al sistema Paese 30 miliardi l’anno, un terzo di quanto paghiamo per gli interessi sul debito pubblico. È invece confermatissima – continua Zaia – la politica dei tagli trasversali, che non salvano neppure le Regioni virtuose come il Veneto. E mentre la nostra spesa viene ridotta del 36%, quella dei ministeri non va oltre il 13%. Renzi si era presentato come il rottamatore, ma l’autosalone dei carrozzoni pubblici e dei superstipendi di chi sta al volante resta lì, scintillante». È in questo contesto che ritorna, una volta di più, la voglia di autonomia e di indipendenza. «Continuiamo a lavorare per entrambi i referendum, anche per quello sull’indipendenza, nonostante la bocciatura della Consulta. Lo abbiamo promesso ai cittadini e faremo una cosa seria, una vera e propria chiamata alle urne, non una gazebata ».

A confrontarsi con il governatore e il direttore del Corriere (che ha motivato la scelta di ripartire dal Veneto spiegando che «l’innovazione spinge questo territorio ad agganciare la ripresa prima degli altri, tornando ad essere una delle aree più dinamiche che Paese») c’erano anche il presidente della Piccola Industria di Confindustria Alberto Baban, il ceo di Veronafiere Giovanni Mantovani, il direttore artistico della Fenice Fortunato Ortombina, il presidente del Consorzio tutela del Prosecco Stefano Zanette e il direttore creativo di V°73 Elisabetta Armellin, il che ha portato inevitabilmente il dibattito a virare sui temi dell’economia, del lavoro, della ripresa dopo la «Grande Crisi». Con un filo conduttore: quello del «pensiero positivo» evocato da Baban: «È questo che chiediamo alla politica – ha spiegato l’industriale – occorrono leadership pronte a guidare le loro comunità con fiducia nel futuro e senso di responsabilità, ad ogni livello. Le “Italie” evocate dall’inserto del Corriere non sono tanto “il Nord” e “il Sud” ma l’Italia che non si ferma, che è pronta a cambiare le cose nel nome del lavoro e del merito, e l’Italia che si arrende al declino, nel nome della conservazione, dell’assistenzialismo, delle rendite di posizione». Baban ha esaltato il Veneto come «avanguardia sperimentale», un territorio ferito in profondità dalla crisi eppure riuscito a riadattare il suo modello alle sfide del nuovo mercato globale: «I dati che leggiamo in questi giorni sono solo la coda di un mercato che in realtà non esiste più. Noi siamo già nel futuro e potremo crescere ancora di più, di 5 punti, se solo non fossimo compressi in un sistema che non ce lo permette».

Gli esempi portati dagli altri protagonisti del confronto, in effetti, vanno tutti nella direzione di un Veneto «che ce la fa». Nell’impresa, come la «sognatrice» Armellin (così si è definita) che con coraggio ha abbandonato Benetton per fondare un marchio tutto suo, «da sola, senza l’aiuto di nessuno», ed ora vende le sue creazioni dagli Stati Uniti alla Cina, o come la fiera di Verona, a sentire Mantovani ormai ad un passo dall’aggregazione con Vicenza, che darebbe vita al secondo polo italiano e ad uno dei primi dieci in Europa. Nella cultura, dove la Fenice ha deciso di «non giocare in difesa ma all’attacco» (Ortombina), aprendo ogni sera, raddoppiando il numero dei titoli (da 8 a 20) e delle recite (da 55 a 110), portando i biglietti a coprire il 25% del bilancio contro il 10% di un tempo («Ma i fondi pubblici restano imprescindibili»), facendo del teatro un i nuovo punto di riferimento per i veneziani e non soltanto per i turisti. E infine, nell’agricoltura, dove «grazie al lavoro di squadra tra la filiera e la politica – ha detto Zanette – dal 2009 è stato possibile aumentare la produzione del 116%. Un successo straordinario».

Ma.Bo. – Corriere Veneto – 9 ottobre 2015 

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