Tagli alla spesa, riduzione delle partecipate e pagamento dell’Iva: era tutto nella legge di Stabilità 2015 ed era tutto indigesto al Veneto. Per questo la Regione aveva presentato un tris di ricorsi alla Corte Costituzionale contro il governo. Come risulta dalle sentenze pubblicate giovedì, tutti e tre sono stati però bocciati, con motivazioni che promettono di rinfocolare lo scontro fra Palazzo Balbi e Palazzo Chigi sull’autonomia.
Il primo verdetto si riferisce alla disposizione che il 23 dicembre 2014 prescriveva il contributo delle Regioni alla finanza pubblica. Nell’occasione erano stati fissati gli importi complessivi, ma il riparto era stato rinviato ad un’intesa da raggiungere entro il 30 settembre 2014, cioè tre mesi prima dell’approvazione della legge, pena una suddivisione d’ufficio in base al Pil regionale e alla popolazione residente. Per la giunta Zaia ce n’era dunque già abbastanza per incaricare gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi di impugnare il testo davanti alla Consulta, alla pari della Lombardia, con l’accusa a Roma di voler piegare «la leale collaborazione a mera apparenza», perseverando nei tagli lineari senza tener conto dei criteri standard, col risultato di penalizzare le «realtà regionali che hanno adottato da tempo misure di contenimento della spesa riducendola a livelli difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus al sistema dei servizi sociali».
I giudici hanno però ritenuto inammissibili o infondate le questioni di legittimità costituzionale, lamentando nella forma la genericità delle argomentazioni venete ed affermando nella sostanza un principio che non farà piacere ai sostenitori dell’autonomismo: «La funzione di coordinamento finanziario prevale su tutte le altre competenze regionali, anche esclusive», tanto che lo Stato può imporre vincoli di bilancio «anche se questi si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti».
Il secondo ricorso riguardava il processo di razionalizzazione delle partecipate. Il Veneto contestava l’ordine di sopprimere aziende come la Società Veneziana Edilizia Canalgrande, che avevano più amministratori che dipendenti ma di cui «non è provata l’inefficienza», «senza che alcuno spazio di manovra venga riservato all’autonomia regionale». Per la Corte, invece, il piano «non emargina, ma coinvolge le stesse Regioni».
Sconfitta infine anche sul terzo fronte, quello dello split payment , ovvero il meccanismo per cui ora sono le Regioni a dover versare l’Iva per conto dei fornitori. L’amministrazione regionale lamentava un aggravio gestionale e contabile, la presidenza del consiglio ribatteva che si trattava di una misura di contrasto all’evasione fiscale. Alla fine i giudici costituzionali hanno deciso che la materia tributaria «rientra pacificamente nella competenza legislativa esclusiva statale».
Angela Pederiva – Il Corriere del Veneto – 18 giugno 2016