«Più soldi, ma spendiamogli meglio». Dopo aver sfilato 4 miliardi dal Servizio sanitario nazionale Matteo Renzi se n’è uscito così, senza fare una piega. Aggiungendo, cifre alla mano, che il fondo era di 109 miliardi un anno fa, 110 oggi e 111 nel 2016». La logica delle slide e delle battute non permette obiezioni.
Ma basta prendere l’ultima Nota di aggiornamento al Def, licenziata dal Consiglio dei ministri non un secolo fa ma il 18 settembre scorso, per smascherare il giochino delle tre carte del premier. Alla voce spesa sanitaria si legge, nero su bianco a pag. 32, 111 miliardi per il 2014, 111,2 per il 2015 e 113,3 per il 2016. Nessuna cifra corrisponde. Ma neppure il serioso Pier Carlo Padoan, spesso utilizzato da Renzi come spalla comica durante le sue performance, ha avuto il coraggio di battere ciglio durante lo show del premier.
Non è finita. Nello stesso Def a pag. 76, nella tabella dedicata al cronoprogramma, c’è scritto: “Patto per la salute 2014-2016, fatto”. Ebbene quel patto, come ha ricordato ieri il governatore del Veneto Luca Zaia, prevede per il 2016 115,4 miliardi. Mancano dunque all’appello oltre 4 miliardi.
Dove sono finiti? Impossibile saperlo, perché sul fondo sanitario il governo ha dato vita ad una girandola di annunci da far girare la testa. Ad agosto, mettendo la fiducia sul decreto enti locali, che ha sforbiciato il fondo di 2,3 miliardi, il premier aveva promesso alle regioni per il 2016 113 miliardi, la stessa cifra poi messa nel Def del 18 settembre. Il 15 settembre, però, il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha parlato di 112 miliardi. Mentre il 30 settembre, intervenendo in Parlamento, Renzi ha annunciato per la prima volta il taglio a 111 miliardi, suscitando la rivolta dei governatori che hanno minacciato di non poter garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea) e il piano vaccini.
Il taglio maldestro alla sanità è il simbolo del fallimento della spending review, che fino a qualche mese fa doveva essere, per ammissione degli stessi commissari, di 10 miliardi. Ieri Renzi si è presentato annunciando una spending di 5,8 miliardi, letteralmente dimezzata. Motivo? Il premier ha spiegato che in una manovra che riduce le tasse non si potevano sforbiciare le agevolazioni fiscali. Bene. Il problema è che i risparmi sulle cosiddette tax expenditure erano quantificati in 1,6-1,7 miliardi, forse anche meno, ma di sicuro non 5. La spiegazione, a questo punto, può essere una sola: dai tagli ai ministeri, ai manager della Pa, alle province e alle partecipate dei comuni arriveranno soltanto briciole. Sarà un caso, ma sembra che il professore della Bocconi, Roberto Perotti, che affianca Yoram Gutgeld sulla spending, voglia gettare la spugna. Renzi non ha smentito: «Chiedetelo a lui».
Libero – 16 ottobre 2015