Si sa che la Siae è abituata da tempi non sospetti ad alternare due smoking: uno che indossa quando si presenta come ente di diritto pubblico. L’altro che tira fuori dall’armadio quando si tratta di gestire il denaro privato raccolto per autori ed editori.
Ora la Siae con il primo smoking si è di fatto scritta da sola la struttura dell’emendamento che dovrebbe entrare nella legge di Stabilità per aggiornare nel prossimo triennio il famigerato equo compenso. E con il secondo smoking è già pronta alla cassa per ritirare una cifra che, grazie a rincari del 500% su smartphone e tablet e nuovi compensi che potrebbero coinvolgere anche le smart tv, potrebbe andare dai 130 ai 200 milioni (un terzo del bilancio). Il conflitto è apparentemente dichiarato nel documento del comitato consultivo permanente per il diritto d’autore presso il ministero dei Beni e delle attività culturali. Si legge infatti nello schema di revisione del decreto ministeriale 30.12.2009: «Come proceduto quattro anni or sono […] abbiamo richiesto, in sede di consulenza tecnica, alla Siae, una documentata relazione tecnica sullo stato dei mercati, sui più recenti comportamenti dei consumatori in ordine alla realizzazione di copie private, ed una rilevazione delle tariffe medie europee».
La Siae ha eseguito i compiti con solerzia tanto da andare anche oltre a quanto richiesto: non solo ha rilevato le medie europee (che non sono vere medie vista l’esclusione dei Paesi come la Gran Bretagna dove il compenso non esiste) ma si è calcolata anche da sola gli aggiornamenti delle tariffe. Numeri assorbiti dal documento del comitato del ministero guidato da Massimo Bray, grande sponsor di questi aggiornamenti tabellari.
La Siae si è fatta due conti e ha proceduto con equilibrio: ha ridotto l’equo compenso sui prodotti che ormai non hanno più mercato, come i registratori Vhs e i vecchi telefonini, e lo ha aumentato del 500% sui prodotti amati dagli italiani come gli smartphone e i tablet (da 50 centesimi a 5,2 euro). Per i computer la proposta è di 6 euro.
L’aggiornamento ha scatenato un braccio di ferro tra le associazioni di categoria, Confindustria digitale in primis, e la stessa Siae. L’arringa della difesa Siae verte sul convincimento che queste cifre non si scaricheranno sui consumatori finali (il cavallo di battaglia è che l’iPhone 5s costa di meno in Francia e in Germania nonostante la tariffa sia più alta).
Ma la questione è se l’equo compenso abbia senso viste le nuove tecnologie che stanno modificando le abitudini d’uso: la copia privata era quella che si faceva registrando un Vhs o spostando la musica da un cd a un altro vergine. Ma oggi la musica si ascolta per lo più in streaming con Google Play, Spotify e Deezer. E le copie non sono possibili. La stessa cosa avviene per i film «on demand».
Il campione di 2 mila persone della Siae, evidentemente, si è dimenticato di comprendere l’uomo della strada.
msideri@corriere.it – 15 dicembre 2013