Non lo ammetterebbe mai, ma perfino quando ostenta allegria il generale Darryl Williams sembra raccontare un’altra storia: qui dentro — dice la sua espressione — è una noia mortale. Non vedo l’ora che tutto finisca.
Le giornate meno militari che un militare possa vivere nella sua carriera devono assomigliare molto a quelle che stanno vivendo da domenica sera il generale Williams, nove dei suoi soldati (fra loro due donne) e un diplomatico statunitense: sono rientrati tutti nella base militare americana di Vicenza dopo una missione nella Liberia devastata da Ebola e, anche se i controlli medici e il protocollo non l’avrebbero richiesto, il Pentagono ha deciso lo stesso di tenere tutti in isolamento per 21 giorni, cioè il periodo massimo di incubazione del virus.
Un monitoraggio, più che una quarantena. Voluto per rassicurare i vicentini e la stessa comunità americana che vive nelle due caserme della base militare. Anche la decisione di farli rientrare a Vicenza, cioè la loro base di appartenenza, è stata dei vertici militari Usa. E sarà lo stesso per gli altri 64 uomini della stessa missione, in arrivo in parte oggi e in parte sabato: rimarranno isolati e sotto controllo pure loro per 21 giorni e nessuno dei tre gruppi incrocerà mai l’altro.
Ventuno giorni di vita da non soldati, di attività limitata e, soprattutto, zero ora d’aria e zero contatti fisici con l’esterno della palazzina in cui sono confinati. Ma nella videoconferenza che ha tenuto ieri pomeriggio, il generale Williams sminuisce e scherza sull’«esilio»: «Io e i miei uomini ci svegliamo e vediamo queste bellissime montagne vicentine, questo bel cielo blu… poi colazione e ginnastica, come facciamo sempre». Frustrati? «No, assolutamente. I soldati sono di ottimo umore e ci tengo a ribadire che stiamo tutti benissimo. Lavoriamo al computer, qui dentro. Ciascuno ha la propria postazione. Facciamo esercizio fisico in una piccola palestra allestita per noi, ogni sera ci mettiamo in contatto con le famiglie via skype. Ho una nipotina di 11 mesi e la vedo che cammina, la sento che mi chiama nonno (in italiano, ndr )». Altro? «Beh, dobbiamo misurare la febbre due volte al giorno e seguire le precauzioni sull’isolamento». Per esempio quelle sul cibo. I militari della base (la caserma è la Del Din) portano il pranzo e la cena sui carrelli che lasciano in un’area prestabilita. Nessun contatto nemmeno durante la consegna o la restituzione dei piatti. «Sono di carta» spiega il generale. «A fine pasto mettiamo tutto in un sacco che viene bruciato».
Le videoconferenze occupano gran parte della giornata, soprattutto quelle con l’Africa, dove i soldati rimasti prendono ordini a distanza per la costruzione dei centri di trattamento per l’Ebola. Finora ne hanno messi in piedi 12, devono costruirne in tutto 17. A scanso di equivoci il generale precisa una volta di più che «nessuno di noi in Liberia è stato mai in contatto con persone malate di Ebola o con medici. Ci siamo occupati solo di controlli, logistica e ingegneria».
Sul caso di Vicenza ieri è intervenuto anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «La situazione è sotto controllo. Abbiamo chiesto al ministro della Difesa aggiornamenti, ma non c’è preoccupazione». Lo ripete anche il generale Williams: «Non siamo preoccupati. E poi siamo a casa, non in prima linea, siamo felici». Non fosse per la noia…
Il Corriere della Sera – 29 ottobre 2014