Terra sovrasfruttata: più poveri già da oggi. L’Italia vive quattro volte al di sopra delle proprie capacità ecologiche. Dalle foreste ai pesci riduciamo il tesoro delle generazioni future
Luca Mercalli. Mentre l’economia globale, la popolazione, l’estrazione di risorse naturali e l’inquinamento crescono, le dimensioni della Terra rimangono fisse. Così quest’anno l’Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento calcolato dal Global Footprint Network, cade oggi, 8 agosto, in anticipo di 5 giorni rispetto al 13 agosto dello scorso anno.
È la data nella quale gli interessi della natura, cioè tutta la produzione annua rinnovabile, dalle foreste ai pesci, è stata consumata, data dalla quale fino a fine anno si intaccherà il capitale planetario, attingendo a risorse non più rinnovabili e di cui saranno dunque private le generazioni future. E accanto ai prelievi eccessivi si aggiungono le scomode eredità: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamenti assortiti. È dal 1970 che l’Umanità è entrata nel territorio dell’insostenibilità, e la data del sovrasfruttamento anticipa anno dopo anno.
Per l’Italia la situazione è ancora più critica, in quanto il nostro Paese vive quattro volte al di sopra delle proprie risorse ecologiche interne, e quindi ha toccato l’overshoot day a inizio aprile. Fin qui il pezzo è praticamente identico a quello che ho scritto l’anno scorso. Ecco il problema: è passato un altro anno e siamo sempre qui a raccontarcela come se si trattasse di una notiziola qualunque. Invece è la notizia più rilevante per la nostra specie. È quella sulla quale dovremmo riflettere ogni giorno per trovare urgentemente una soluzione al prossimo collasso della biosfera e della società. Non chiamatele teorie catastrofiste per favore. È la solita etichetta che autorizza a fregarsene senza approfondire. Ormai tutta la scienza internazionale del sistema Terra è in allarme. Solo pochi giorni fa la Noaa, l’ente meteorologico statunitense, ha pubblicato il rapporto sui cambiamenti climatici 2015, che rendono l’annata eccezionale per numero di record superati. E il 2016 sarà probabilmente peggio, con il primo semestre al top del caldo globale e i ghiacci artici ai minimi.
Il rapporto di fine luglio dell’Unep, ente ambientale delle Nazioni Unite, “Global Material Flows and Resource Productivity”, avvisa che la quantità di materie prime estratte dalla Terra è aumentata dai 22 miliardi di tonnellate del 1970 agli «sbalorditivi» 70 miliardi di tonnellate del 2010; i paesi ricchi consumano circa 10 volte la quantità di quelli più poveri. Se il mondo continua così, al 2050, con oltre 9 miliardi di abitanti sulla Terra, serviranno 180 miliardi di tonnellate di materie prime minerali, con i conseguenti danni ambientali. Sempre l’Unep ha pubblicato da poco il rapporto “Marine Litter” sul drammatico incremento dei rifiuti plastici negli oceani. Questi studi ormai non si contano, ma l’impressione è quella di un grande spreco di conoscenza, come se passasse tutto inosservato, nell’indifferenza della politica e dei cittadini, mentre il limite dell’irreversibilità della crisi ambientale si avvicina pericolosamente.
In dicembre la COP21 a Parigi ha stabilito di ridurre le emissioni climalteranti per contenere in 2 gradi l’aumento della temperatura globale entro il 2100. L’accordo entrerà in vigore dopo che almeno 55 paesi che contino il 55% delle emissioni globali avranno firmato. A oggi quanti hanno ratificato? 21 stati su 179, per un misero 0,85% delle emissioni globali! Sono soprattutto i piccoli atolli corallini del Pacifico che stanno per essere sommersi dall’aumento dei livelli oceanici. Gli altri non sembrano aver fretta.
La Stampa – 8 agosto 2016