di Renzo Mazzaro Ricordate il dottor Tersilli, immortalato da Alberto Sordi nel film «Il medico della mutua»? Abbiamo il seguito, il dottor Stefano Tersilli, raccontato in un romanzo-verità («Si rende noto che alle ore… L’ultima notte del dottor Stefano Tersilli, medico dell’azienda ospedaliera») da un medico vero, che si è laureato a Padova e lavora a Vicenza e ci spiega l’evoluzione perversa che ha subìto il medico della mutua.
Il Tersilli di Sordi era un medico lanciato a caccia di pazienti-clienti, da mettere in conto alla mutua. «Oggi al suo posto si deve tramandare con lo stesso onore la memoria del medico dell’Azienda Ospedaliera», sostiene l’autore Andrea Tramarin. Il Tersilli di oggi è un medico che ha perso completamente di vista il benessere del paziente, almeno quello del giuramento di Ippocrate. È un professionista demotivato e frustrato, asservito all’Azienda Ospedaliera e usato da un ingegnere diventato direttore generale, che si preoccupa solo del bilancio. Il dottor Tersilli jr è un burocrate che riempie moduli e fa soltanto medicina difensiva. Cos’è la medicina difensiva? È quella che non serve al paziente ma al medico per evitargli di incappare in querele, denunce, processi e magari condanne. Per cautelarsi, il medico riempie moduli, prescrive ricette, spedisce il paziente a fare mille controlli ed esami, anche se sa che non servono, purché poi non si dica che lui non le ha provate tutte. La medicina difensiva è dunque uno dei motivi per cui si allarga la forbice della spesa sanitaria. E, guarda un po’, è creata dagli ingegneri dei bilanci, che invece ci fanno credere di lavorare per risparmiare. La storia del dottor Tersilli poggia sulle conoscenze professionali dell’autore e come il suo protagonista ha lavorato davvero in un ospedale. La vicenda è racchiusa in una notte di turno al reparto infettivi. Nelle dodici ore del turno sfilano persone d’ogni genere, si incontrano medici diffidenti, infermieri stralunati, arrivano richieste di consulenze da altri reparti, fatte con lo scopo di sbolognare il caso difficile al collega. Nelle pause del lavoro Tersilli ripercorre esperienze e storie che ha attraversato. Uno stratagemma narrativo che permette all’autore di raccontare con naturalezza la parabola professionale di una vita. Tersilli è un medico ancora giovane, ma già al capolinea. Il mestiere l’ha usurato, la sua condizione si chiama burn-out: uomo bruciato. Cotto, scoppiato. Aveva cominciato con dedizione totale, si ritrova isolato dai colleghi, punito da un primario imbelle con un trasferimento immeritato, costretto a farsi difendere dall’avvocato, inquisito dalla magistratura per un errore che si rivelerà inesistente, perseguito dal direttore generale perché ha osato mandare a quel paese un paziente suo amico. È l’errore fatale. L’ultima notte di turno al pronto soccorso precede le sue dimissioni. Non farà più il medico. E dire che è figlio d’arte: suo nonno era medico della mutua, suo padre primario ospedaliero. Lui chiude il cerchio come medico dell’Usl. «La storia della mia famiglia», dice beffardo, «è la storia del servizio sanitario nazionale. La gente arriva in ospedale come fosse una fermata ai box. Vogliono fare il pit-stop e ripartire verso la vita a tutta velocità. Qualcuno dovrebbe spiegare che non è così: l’ospedale è un’officina dove i meccanici non hanno pezzi di ricambio, danno una martellata, possibilmente nel punto giusto, e forse si può ripartire». Tersilli parla delle ripicche tra medici, delle faide ospedaliere: «In ospedale si combattono guerre con scudi umani. Nel nostro lavoro c’è sempre la possibilità di aggirare le regole, di fornire alibi e giustificazioni agli errori di qualcuno e di negare la stessa protezione a qualcun altro». Il libro di Andrea Tramarin è pieno di affermazioni folgoranti. «L’ospedale di domenica è come un treno fermo in stazione. Niente radiologia, in laboratorio solo le urgenze, e come di notte il solo medico di guardia». «L’unica azienda a cui può assomigliare la Sanità sono le Ferrovie dello Stato, perennemente in ritardo e con i conti fuori controllo». «Se dovessi spiegare ad un marziano cos’è l’ospedale gli direi che è la metafora di tante cose: il paese, per esempio, con il bar, l’edicola, il barbiere, i reparti con il nome dei primari come vie dedicate a se stessi…» Nell’ultimo turno del dottor Tersilli, muore il numero 15. È un ragazzo con l’Aids, vegliato dalla madre che non vuole accettarne la morte. Il numero 15 spira pochi minuti prima che finisca il turno, così Tersilli è costretto ad un supplemento di presenza, perché bisogna riempire il modulo Istat e altre scartoffie. Bisogna informare il sindaco, riportare la causa iniziale, intermedia e finale del decesso. «E nella causa finale tutti scrivono arresto cardiocircolatorio, anche se il paziente è morto per una coltellata».
Il Mattino di Padova – 19 giugno 2014