Paura per i passeggeri dell’aereo su cui ha volato una delle ultime contagiate. A Washington riunione d’emergenza. Secondo caso di contagio per Ebola in Texas e scattano le polemiche.
Ad aver contratto il virus, questa volta, è un’aiuto-infermiera che ha curato Eric Duncan, il paziente liberiano morto la settimana scorsa: la donna sembra abbia viaggiato in aereo da Cleveland a Dallas lunedì scorso, quando ancora non aveva manifestato i sintomi della malattia. A bordo con lei erano presenti altri 131 passeggeri. Sale quindi l’allerta: le autorità texane fanno sapere che casi d’infezione sono «una possibilità molto reale». Non a caso i medici stanno attualmente monitorando ben 75 persone entrate in contatto con Duncan durante la sua degenza.
Intanto il sindacato delle infermiere statunitensi punta il dito direttamente contro l’Health Presbyterian Hospital di Dallas, l’ospedale dove l’uomo è deceduto e dove, a oggi, sono ricoverati due pazienti contagiati: lì, fa sapere l’associazione di categoria, non è stato adottato nessun protocollo di sicurezza. Un’accusa pesante, non c’è dubbio. Specie se supportata dalle infermiere in servizio nella stessa struttura ospedaliera che lamentano di non aver ricevuto le informazioni necessarie per trattare il “paziente zero”. «C’è stata una gran confusione», taglia corto Deborah Burger, co-presidente del sindacato Usa. E denuncia come il personale infermieristico dell’ospedale non fosse stato addestrato a trattare biancheria e teli sporchi del contagiato. Ai paramedici era stato consigliato di indossare le mascherine di protezione – continua – ma non quelle “integrali”: in sostanza questo significa che gli infermieri hanno lavorato con parte del collo e della testa scoperti e, quindi, esposti al virus. Ma ancora: Duncan è stato trattenuto per diverse ore in una zona non isolata della clinica prima di essere trasferito in quarantena.
Così alcuni esponenti repubblicani hanno chiesto le dimissioni di Thomas Frieden, il numero uno del Centers for Disease control and Prevention di Altanta, una delle organizzazioni americane più importanti in tema di Sanità. Frieden, quando era stata ufficializzata l’infezione della prima infermiera, aveva parlato semplicemente di una «violazione del protocollo», cercando di spiegare così il primo contagio di Ebola sul suolo statunitense. Una versione ufficiale che contrasta con quanto sostenuto dal personale medico di Dallas
dire che a Madrid era successo più o meno lo stesso dopo il contagio di Teresa Romero, l’infermiera che aveva curato i due missionari spagnoli deceduti all’ospedale Carlos III nei mesi scorsi. Sotto accusa erano finiti, anche allora, i protocolli sanitari e davanti alla struttura ospedaliera madrilena erano scesi a manifestare decine e decine di paramedici che avevano accusato il governo di «improvvisazione» per quanto riguardava le misure di sicurezza adottate. Nel frattempo anche Palazzo Chigi fa il punto della situazione. Ieri è stato indetto un vertice in tema d’interventi preventivi per far fronte all’emergenza internazionale (è uno dei motivi per cui è slittato il Consiglio dei Ministri). «Siamo in stato di allerta e studiamo tutte le misure di prevenzione possibili», dice il ministro dell’Interno Angelino Alfano. A precedere la riunione (il governo ha deciso di potenziare la presenza di personale e le informazioni sul virus dell’Ebola nei porti e negli scali aerei), una conference call che il premier Matteo Renzi ha tenuto con il presidente francese François Hollande, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il primo ministro britannico David Cameron e il presidente americano Barack Obama. Lo stesso Obama ha rinviato, ieri, un viaggio in New Jersey per indire alla Casa Bianca un incontro per «coordinare la risposta dell’Amministrazione Usa alla diffusione di Ebola».
E se il sindaco di Padova, Massimo Bitonci annuncia di stare lavorando «a un’ordinanza che vieti la dimora in città a persone provenienti da Paesi dell’area africana se non in possesso di un certificato attestante lo stato di salute», a correre ai ripari è anche Bruxelles. «È essenziale rafforzare e rendere più efficaci i controlli in uscita dai tre Paesi focolai di Ebola», dicono alcune fonti europee alla vigilia del vertice straordinario che si terrà oggi in Belgio. Tuttavia l’Ue non si sbilancia circa i controlli in entrata che restano attualmente di competenza dei singoli Stati membri e sui quali manca, appunto, un coordinamento comunitario.
Libero – 16 ottobre 2014