«Troppe le 200 micro-norme inserite in Parlamento. Pochi spazi per la spending review. Ma al momento non sembra necessaria una manovra bis». Corre il cavallo della spesa pubblica, non a briglie sciolte e non come nel passato, ma corre.
E solo una spending con tutti i crismi la potrà arginare. Mentre l’ultima legge di stabilità, denuncia la Corte dei conti, rischia di creare un «vuoto di gettito» da 13,7 miliardi nel 2017-2020 con pericolose ricadute e pesanti ipoteche sui bilanci futuri. Ipotesi che però il ministro dell’Economia uscente, Fabrizio Saccomanni, smentisce categoricamente: «Nessun vuoto di gettito, la tenuta dei conti è garantita». Non sono carezze quelle che ieri la Corte dei conti ha deciso di dispensare alla legge di stabilità 2014.
Un giudizio sulle ultime scelte di politica economica che arriva proprio nel momento del passaggio tra Enrico Letta e Matteo Renzi, con quella casella dell’Economia del dopo-Saccomanni ancora da riempire e un programma da di Governo da scrivere. Un giudizio arricchito da un forte pessimismo sulla ripresa: il credit crunch è destinato a mordere ancora le imprese che già soffocano e la potente medicina da 40 miliardi per onorare i debiti della Pa è stata un palliativo, buona solo per le banche. Un intervento riparatore, ma insufficiente. Perché l’economia reale resta stritolata in una morsa micidiale che non lascia intravedere l’uscita dal tunnel.
L’analisi della Corte dei conti, realizzata col supporto di Cer, Prometeia e Ref, non sembra lasciare margini ai dubbi. Perfino proponendo una ricetta cui già aveva accennato Squitieri venerdì scorso: serve un nuovo «perimetro» per l’intervento pubblico e un «ripensamento» delle modalità di prestazione dei servizi. L’Isee riveduto e corretto sarebbe una buona arma, dice la Corte, per una nuova equità sociale e «una seria redistribuzione» sia fiscale sia di spesa.
Una ricetta, quella proposta, che evidentemente fa capo alla politica. Ma che nell’analisi della magistratura contabile diventa il punto d’arrivo di una condizione della finanza pubblica e dell’impatto della crisi sull’economia produttiva e sull’occupazione, considerate in bilico. A partire dal rilievo che con l’ultima legge di stabilità le misure di stimolo all’economia sono state di «limitato rilievo», mentre in pari tempo la spesa corrente ha imboccato un «percorso di crescita». Tutto questo con mosse contraddittorie: per il 2015-2016 si fanno presagire consistenti tagli alla spesa, ma per il 2014 la spesa stessa invece cresce. E ancora: con la spending review si preannuncia la riduzione fiscale, ma buona parte degli ipotetici risparmi sono già stati ipotecati da speranze di abbassare le tasse.
Come dire: i conti non tornano. Di sicuro non per imboccare la ripresa. Ma neppure per garantire il percorso di rientro dal disavanzo che è poi l’impegno inderogabile con la Ue. E così, afferma la Corte dei conti, sebbene esistano segnali di miglioramento, la prospettiva nel prossimo triennio non è indenne da «rischi» e «giustifica una riflessione sulle scelte future». E qui c’è un doppio affondo: il rispetto rigorose delle regole Ue, scrive la Corte, «non sembra assicurato». Mentre, pur ammettendo che la spending possa aiutare a invertire la tendenza, «l’indicazione fornita al mercato è che la spesa pubblica torna a crescere, seppure a ritmi inferiori a quelli del passato».
Ma anche sul versante delle entrate, secondo la Corte, le cose non vanno bene con la legge di stabilità. Se tra il 2014 e il 2016 si prevede un aumento delle entrate nette per 4,2 mld, ecco dall’anno dopo l’inversione di rotta. Col risultato, che tra il 2017 e il 2020 rischiamo un «vuoto di gettito» calcolato in 13,7 mld. Una ricostruzione che però Saccomanni in serata ha seccamente smentito: «Nessun vuoto di gettito – ha dichiarato in serata con una nota – in quanto le misure previste hanno trovato integrale e adeguata copertura non solo nel triennio 2014-2016 ma anche in tutte le annualità successive rilevanti ai fini della valutazione degli effetti finanziari». Smentisce seccamente, Saccomanni, e aggiunge: nel 2017-20, anzi, con la legge di stabilità ci sarà un miglioramento dei saldi.
Serve la ripresa, insomma, ma la spinta per il rilancio non c’è. Così è stato dopo aver aperto i rubinetti per i rimborsi dei vecchi debiti della Pa alle imprese, che però non hanno impresso particolare impulso all’economia e al pil, dando piuttosto l’impressione di essere serviti per regolare gli impegni con le banche. E neppure è bastato aver alimentato i fondi per alleviare il credit crunch: gli sportelli dei prestiti in banca sono rimasti praticamente chiusi, e chiusi rischiano di restare ancora almeno quest’anno, con la pesante incognita della capacità di trasmettere «al settore reale» le «abbondanti liquidità» presenti sul mercato finanziario», mentre gli impieghi bancari scendono e l’inaridirsi dei flussi creditizi – per ricapitalizzazioni bancarie, sofferenze, vincoli di Basilea 3 – difficilmente verrà meno in tempi brevi. Inevitabile che, a queste condizioni, la ripresa resti una chimera.
Il Sole 24 Ore – 20 febbraio 2014