Daniela Boresi. L’abigeato ha tutta l’aria del reato antico. Gli animali si sottraevano soprattutto quando rappresentavano il bene primario, averli o no era lo spartiacque tra la fame e lo stare bene. Che nel 2014 torni l’allarme sembra quasi impossibile e a restare stupiti sono gli stessi allevatori che da qualche tempo avevano abbassato la guardia. Sette furti, e notevoli, in una manciata di giorni non sono cosa di poco conto, come spiega Giuliano Marchesini, direttore di Unicarve, gli allevatori del Veneto. «Siamo in pieno allarme – denuncia – sono spariti nel nulla in pochi giorni oltre 200 tori, un danno che sfiora i 350mila euro circa. Erano almeno 6 anni che non accadeva più nulla, quando venne sgominata la banda veronese che si era resa responsabile di 54 furti, con 42 arresti». Le bande identificano l’allevamento e su grandi camion fanno sparire bestie e relativi “passaporti”
I ladri, con una tecnica che è sempre la stessa, hanno preso di mira allevamenti nel Basso Rodigino, Veronese, Padovano e Vicentino, tutti con la stessa caratteristica: le stalle devono avere un accesso facile alle grandi arterie del traffico. «Conoscono bene gli allevamenti, sanno che ci sono i tori – spiega Marchesini – arrivano con grossi camion adibiti al trasporto dei mobili e li caricano: una trentina di bestie per volta, di più non ci stanno». Sono bestie destinate alla macellazione, il sospetto è che in poco tempo vengano macellati e finiscano in qualche banco vendita.
«Ci stiamo difendendo a suon di sms – aggiunge il direttore di Unicarve – Quando vediamo qualcosa che ci insospettisce lanciamo l’allerta generale. La cosa che ci preoccupa maggiormente è che si sta verificando anche un racket dei passaporti dei bovini, che vengono rubati, falsificati e possono accompagnare qualsiasi bestia».
Il momento giusto per rilanciare quella che per Unicarve è una battaglia in piedi da tempo: dopo aver vinto la guerra dell’etichettatura (oggi di una bestia macellata si conosce la storia dalla nascita) oggi puntano sul “dna”. «Poche decine di euro e il traffico sarebbe debellato – spiega Marchesini – esistono marchi auricolari che con il “passaporto” del bovino contengono anche il dna. I dati si falsificano, il dna no. E in un momento in cui siamo invasi da carne proveniente dalla Polonia diventa indispensabile riuscire ad avere la certezza della proveninenza del bestiame».
L’allevamento di bovini è sempre stato per il Veneto una notevole fonte di reddito, ma ora la crisi è pesante: con la chiusura delle frontiere russe, dalla Polonia arriva carne a prezzi stracciati. «Alla borsa merci di Modena la carne vale 2,5 euro al chilo, contro i 2,7 di costo di produzione – conclude Marchesini – per i circa mille allevamenti del Veneto è crisi nera». Eppure solo fino a qualche anno fa con 450mila capi, la produzione veneta copriva il 40 per cento della carne italiana.
Il Gazzettino – 9 dicembre 2014