Un lavoratore assunto con contratto a termine in sostituzione di un dipendente non assente, ma trasferito provvisoriamente ad altro incarico dal datore di lavoro, non ha diritto a vedersi riconosciuta la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato.
A dirlo è stata la Corte di Cassazione, sezione lavoro, che con la sentenza n. 6787/13 del 19 marzo ha confermato l’orientamento costante della giurisprudenza, secondo cui nelle assunzioni a termine ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, lettera B della legge 230/62 per la sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto è possibile lo scorrimento a catena “sempre che ci sia una correlazione tra assenza e assunzione a termine, nel senso che la seconda deve essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell’azienda per effetto della prima”.
I giudici di legittimità erano stati chiamati a pronunciarsi a seguito di un ricorso presentato da un lavoratore assunto con contratto a termine al posto di un dipendente incaricato temporaneamente in una qualifica superiore e trasferito, contemporaneamente, in altra struttura del datore di lavoro. Il ricorrente lamentava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, mai validamente interrotto, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni perdute dal primo atto di messa in mora all’effettiva riammissione in servizio.
Tanto secondo il giudice di primo grado, quanto, poi, per quello d’appello l’indicazione nel contratto di sostituzione del nome del dipendente spostato per scorrimento, piuttosto che di quello all’origine dell’esigenza sostitutiva, non era motivo sufficiente a ritenere violate le disposizioni sul contratto a tempo determinato previsto dal contratto collettivo di categoria e a inficiare la legittimità dell’apposizione del termine, effettivamente collegato all’esigenza sostitutiva di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.
La Cassazione nel confermare il giudizio di secondo grado ha precisato che la sussistenza di una correlazione causale tra l’attività del lavoratore assunto in sostituzione e quella del lavoratore sostituito – sulla cui base poter affermare che l’assunzione sia comunque riconducibile, eventualmente attraverso più passaggi, alla sostituzione di un lavoratore assente, impedito a svolgere la prestazione – costituisce giudizio di merito e come tale non è sindacabile in sede di legittimità “quando la relativa motivazione sussista, sia sufficiente e non sia contraddittoria”. Su queste basi il datore di lavoro potrà esercitare nei confronti del lavoratore a termine lo stesso jus variandi che avrebbe potuto esercitare nei confronti del lavoratore sostituito.
Nel caso in esame – secondo la Corte – il giudice di appello ha ravvisato la sussistenza di tali presupposti, avendo accertato “la correlazione causale tra le diverse posizioni lavorative interessate dallo scorrimento”.
Il Sole 24 Ore – 20 marzo 2013