Marco Zatterin. «Temo che non ce la faremo a chiudere prima delle presidenziali americane», ammette Sigmar Gabriel, leader socialdemocratico tedesco e vicecancelliere di Frau Merkel. L’Europa ha avviato nel luglio 2013 i negoziati formali con gli Usa per definire un accordo di partenariato transatlantico su commercio e gli investimenti, «T-Tip» secondo l’acronimo degli anglofoni.
E’ un’intesa per aprire i mercati, favorire il diffondersi dei servizi, creare opportunità di crescita e definire nuovi standard tecnici. I fautori promettono un beneficio economico di oltre 100 miliardi l’anno, i critici denunciano i rischi per la sicurezza alimentare e l’ambiente. Comunque sia, i primi due anni sono volati senza progressi. E ora il tempo sta finendo davvero in fretta.
La Commissione Ue, che qui è il titolare del negoziato, ha fatto il punto. Su 10 dei 24 capitoli, sherpa americani e sherpa europei non hanno scambiato carte. Non una parola sulla cooperazione legislativa nel settore della chimica, sulle Tlc, sui pesticidi e sui cosmetici. Fuori dal tavolo anche il nodo dei diritti d’autore e della proprietà intellettuale, che da solo può valere mesi di conflitto per le questioni cinematografiche e musicali. Per non parlare dell’energia (soprattutto di gas) e delle materie prime. Come si può fare tutto questo in un solo anno?
Cecilia Malmstroem, responsabile Ue per il commercio estero, e dunque negoziatrice in nome dei ventotto soci del club di Bruxelles, concede che «c’è bisogno di intensificare il ritmo del negoziato, con sforzi adeguati da entrambe le parti». In effetti l’andamento lento è frutto di numerosi fattori. L’Europa è animata da ritrosie comprensibili e divisioni inevitabili, dalla carenza di adeguata informazione su quanto succede e da una temperata verve negoziale solo in parte spiegata da una Washington distratta dalla partita asiatica del Tpp. L’America vuole traghettare l’Ue dalla sua parte, con una formula più liberale di quanto da queste parti si sia in grado di accettare. Non molla. Nei corridoi, gli americani accusano gli europei di non volersi aprire, di «non lavorare seriamente sul futuro».
«Non rispondono alle nostre richieste», replicano a Bruxelles. Il ministro francese per il commercio estero, Matthias Fekl, giura che «dal 2013 non abbiamo ricevuto una proposta seria dagli States» i quali, a suo avviso, «mancano dello spirito di compromesso necessario». Il vice ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, guarda all’interno. «Gli stati europei devono ritrovare compattezza – rileva – e smettere di inseguire quella parte ampiamente minoritaria della pubblica opinione pregiudizialmente contraria al T-Tip per ragioni ideologiche».
L’intesa asiatica può essere un incentivo. Ma anche una minaccia. Ue e Usa sono lontani su tessili e appalti. Il duello è durissimo sull’alimentare e questo riguarda da vicino l’Italia. Calenda invita a guardare al bicchiere mezzo pieno. Ora per i paesi emergenti «sarà molto più difficile continuare a indulgere in pratiche protezionistiche e di dumping», stima il viceministro che invita ad andare avanti.
La Stampa – 6 ottobre 2015