L’attività investigativa è conseguente a una serie di illeciti commessi da una dipendente dell’Ente, già condannata in primo grado. I 16 impiegati hanno omesso di eseguire verifiche contabili per gli anni 1996-2007, consentendo alla donna di appropriarsi di ingenti somme di denaro.
I Carabinieri del Nas di Treviso, a conclusione delle indagini delegate dalla Procura Regionale della Corte dei Conti per il Veneto, hanno segnalato all’Autorità contabile 16 dipendenti dell’Azienda Ulss 9, responsabili di aver causato un consistente danno erariale al Servizio sanitario nazionale. L’attività investigativa, condotta con la piena collaborazione della dirigenza dell’Azienda sanitaria, è conseguente ad una serie di illeciti commessi da una dipendente dell’Ente, già condannata in primo grado dal Tribunale di Treviso insieme ad altri co-indagati.
I militari del Nas hanno appurato che i 16 impiegati, che avrebbero dovuto effettuare controlli amministrativi negli anni che vanno dal 1996 al 2007, omettevano – per “colpa grave” – di eseguire le prescritte verifiche contabili, consentendo così alla donna di appropriarsi di ingenti somme di denaro, originariamente destinate al pagamento delle indennità dei medici chirurghi “Specialisti Ambulatoriali Interni” ed ai rimborsi delle spese mediche sostenute dagli assistiti per cure ottenute sul territorio nazionale, inserendo – tra i destinatari degli importi – i nominativi di parenti ed amici.
Il danno alle casse dello Stato, per il quale sono state attivate le procedure di recupero, è stato quantificato in oltre 5 milioni di euro.
Una rete di responsabilità, di mancati controlli, di «gravi colpe» e omissioni ha permesso a Loredana Bolzan di truffare l’azienda sanitaria di Treviso rubando oltre 4 milioni di euro. C’è chi doveva verificare e non l’ha fatto: questa almeno la conclusione cui sono arrivati i carabinieri del Nas di Treviso che, di fatto, hanno riaperto il caso Bolzan segnalando alla Corte dei Conti sedici persone, dipendenti di vario ordine e grado dell’Usl 9 negli anni in cui operò la Bolzan. È un nuovo terremoto. Dopo la vergognosa voragine dei conti pubblici, emersa il 23 febbraio del 2009 quando Loredana Bolzan venne arrestata e Treviso scoprì che parte dei suoi soldi erano finiti ad amici e parenti della donna, finisce ora nel mirino chi non avrebbe fatto i necessari controlli per impedire l’ammanco. Se la vicenda penale si è chiusa con la condanna della donna a 11 anni e del suo «clan» a complessivi 14 anni e 6 mesi di carcere, si apre ora il capitolo contabile. I carabinieri del nucleo di tutela sanitaria hanno appurato «che i 16 impiegati, che avrebbero dovuto effettuare controlli amministrativi dal 1996 al 2007 – anno in cui la Bolzan si è dimessa – omettevano per colpa grave di eseguire le prescritte verifiche contabili». Non responsabilità penali, ma imperizia che riporta la gestione dell’azienda sanitaria al centro del ciclone. Tre mesi di indagine. Per capire l’accaduto, il Nas è entrato negli uffici amministrativi di Borgo Cavalli lo scorso fine febbraio e vi è rimasto fino a maggio. Ha passato in rassegna tutti i documenti contabili dei dieci anni di amministrazione economica che hanno preceduto l’addio dell’impiegata, sequestrando materiale probatorio e fatture. I militari hanno ricostruito la filiera di comando, la piramide organizzativa dell’ente per stabilire a chi venissero consegnate le cartelle di pagamento fatte dall’impiegata, chi tenesse le fila del servizio, di mettesse la firma sugli atti che contribuivano a caratterizzare il bilancio dell’azienda sanitaria. La Bolzan, vale la pena ricordarlo, era l’assistente amministrativa degli uffici finanziari. E proprio lì avrebbe scoperto, costruito, sfruttato la sua miniera d’oro. Sedici nomi. La Bolzan, ritengono gli investigatori, giocava sul fatto che nessuno controllasse la lista dei medici convenzionati (S.a.i.) a cui venivano pagati i servizi e così, in quella lista, inseriva altri codici e altre voci che facevano capo a lei, regalandosi una serie di sostanziosi bonifici. Il suo ufficio aveva un segretario responsabile, che faceva capo a un dirigente di area o un ad un capo-servizio, che a sua volta doveva riferire al direttore amministrativo. Questo, a sua volta, era in rapporto diretto con il direttore sanitario e con il direttore generale. Questa, carte alla mano, l’organizzazione dell’Usl 9 negli ultimi quindici anni. I posti chiave erano ricoperti da Mario Po’ (ex capo servizio economico finanziario), Roberto De Nes (ex responsabile finanze e convenzioni), Luca Del Ninno (ex dirigente economico-finanze): tutti a vario titolo e in varie fasi responsabili dell’operato di Loredana Bolzan dal 1997 al 2007. Bolzan ha agito inoltre negli anni della gestione di Domenico Stellini prima e di Claudio Dario poi. Sotto osservazione da parte dei Nas, per ricostruire le effettive responsabilità contabili, sono finiti anche gli atti dell’ufficio Controllo di gestione», così come i sistemi di verifica interni all’ufficio della Bolzan, settore quest’ultimo che nei dieci anni oggetto dell’indagine è stato coinvolto con tutti gli altri servizi di area «tecnico amministrative» in una procedura di riorganizzazione sostanziale da parte dell’azienda sanitaria. Alcuni dei nomi segnalati dal Nas alla Corte sono gli stessi che compaiono negli atti e nelle intercettazioni dell’inchiesta penale. L’imperizia vale 5 milioni. I carabinieri del Nas, forse parafrasando la sentenza civile scritta dal giudice Massimo De Luca nel 2010, quando evidenziò «il quadro impietoso dello stato dei controlli», hanno contestato (oltre all’entità del furto di 4 milioni) circa 1 milioni di euro tra danni d’immagine e danni per disservizio pubblico. Una cifra che ora potrebbe ricadere sulla testa delle sedici persone oggetto oggi della segnalazione alla Corte dei conti, con tanto di richiesta di risarcimento. Questo l’obiettivo dell’indagine del Nas: «Chi ha sbagliato, deve pagare», sottolineano al Comando. Ma se saranno tutte e sedici le persone segnalate, o solo una parte di queste lo stabilirà la Corte. Il bilancio della maxi truffa ordita dall’«impiegata modello» che negli uffici ex Pime sul Terraglio godeva di un’autonomia operativa – a quanto pare – unica, sale così a oltre 5 milioni
29 giugno 2013 – Quotidiano sanità e Tribuna di Treviso