Filippo Tosatto. È l’equivalente della “tripla A stabile” assegnata dalle agenzie di rating: per il terzo anno consecutivo, il ministero della Salute attribuisce al Veneto il ruolo di regione-benchmark nella sanità nazionale insieme a Umbria ed Emilia-Romagna. Non si tratta di una medaglietta romana o di un riconoscimento astratto: significa che il sistema veneto si conferma modello concreto di riferimento del Governo per la definizione dei criteri di qualità dei servizi erogati, l’appropriatezza e l’efficienza dei servizi ai fini della determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nell’ambito sanitario. La notizia è da ambienti ministeriali, con una novità rispetto al passato: Beatrice Lorenzin intende sancire per legge il ruolo delle “benchmark”, circostanza che imporrebbe all’intero circuito delle regioni (incluse quelle in profondo rosso di bilancio) i criteri giudicati ottimali. Discorsi fumosi?
E allora mettiamola cosi: in attesa che i sospirati costi standard correggano gli sperperi (per tutti, il prezzo della fatidica siringa che, a seconda delle latitudini, schizza da 50 centesimi a 2,5 euro) l’adozione dei parametri benchmark suona come premio al trio di regioni virtuose – perché il fondo sanitario sarà modellato in base ai loro standard – e promette (la prudenza è d’obbligo) di arginare le spese pazze che affossano bilanci (dal Piemonte al Lazio, dalla Calabria alla Sicilia) spesso fuori controllo.
Il riconoscimento ministeriale va in controtendenza rispetto al braccio di ferro in atto tra Lorenzin e il governatore Luca Zaia, che ha impugnato i tagli governativi davanti alla Corte Costituzionale scontando tale opposizione con la revoca del coordinamento sanità alla Conferenza delle Regioni, a larga maggioranza Pd. Ne si tratta di un grazioso omaggio: più che ad alchimie politiche, riflette l’esito di una procedura ispirata a svariati indicatori: il punteggio della “griglia Lea” (i livelli essenziali di assistenza); l’incidenza percentuale tra avanzo e disavanzo sul finanziamento ordinario; la degenza media pre-operatoria; la percentuale di interventi per fratture di femore operati entro due giorni e quella dei pazienti dimessi da reparti chirurgici; la percentuale di ricoveri con diagnosi chirurgica sul totale dei ricoveri e quella dei ricoveri ordinari con alto rischio di inappropriatezza; la percentuale di ricoveri diurni di tipo diagnostico sul totale e quella di casi medici con degenza oltre la soglia per pazienti di età superiore a sessantacinque anni sul totale dei ricoveri over 65. A ciò si abbina la valutazione degli standard di spesa su assistenza ospedaliera e distrettuale, medicina di base e diagnostica, farmaceutica , specialistica e di laboratorio.
Ma c’è un altro fattore che ha indotto il ministero a privilegiare il Veneto rispetto ad altre regioni, in primis la Lombardia che pure vantano ottimi standard sanitari. È il rapporto tra l’entità del prelievo dalle tasche dai cittadini-pazienti e il volume delle prestazioni erogate. Ebbene, come documenta la tabella a fianco – redatta dall’università romana di Tor Vergata – il Veneto applica la tassazione sanitaria più bassa del Paese, evitando di ricorrere all’addizionale regionale sull’Irpef (vigente nel resto d’Italia) e di inasprire i ticket su esami, visite e farmaci fissati dallo Stato. Ciononostante, eroga ai cittadini anche i servizi “extra Lea”, cioè quelli facoltativi, finanziandoli con una costante riduzione della spesa corrente.
Il Mattino di Padova – 1 novembre 2015