Caro direttore, le inquietanti cronache di questi giorni relative alle aziende olearie (ma non solo) che sarebbero responsabili di frodi e truffe alimentari ripropongono – con urgenza – il problema dell’adeguatezza della legislazione in materia. Il vigente quadro normativo dei reati agroalimentari è obsoleto e debole, principalmente per effetto della disordinata stratificazione di fonti diverse e della inadeguatezza dei rimedi tradizionali rispetto alla dimensione ormai transnazionale della criminalità di settore.
La bilancia costi/benefici, per chi voglia misurare l’efficacia deterrente delle norme, è dunque vertiginosamente a vantaggio del secondo piatto, con il risultato di un indiretto, perverso effetto criminogeno. Occorre allora intervenire, sul piano preventivo e repressivo, rivedendo e aggiornando tale quadro: per ristabilire nel mercato alimentare un sufficiente livello di ordine e garantire il libero e regolare svolgimento delle attività economiche.
È nata di qui l’idea della «Commissione di studio per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare». Il ministro Andrea Orlando l’ha istituita con decreto 20-4-2015 , incaricando della presidenza il sottoscritto. Con vero spirito di «squadra» e con grande impegno, i componenti della Commissione (universitari, magistrati – tra questi il dott. Guariniello -, avvocati, forze dell’ordine, rappresentanti delle associazioni di categoria e dei ministeri interessati), hanno svolto una ponderosa e approfondita attività. Il 14-10-2015 sono stati presentati al ministro i risultati: un progetto di riforma di 49 articoli, con un dossier (87 pagine) di illustrazione delle «Linee guida».
L’obiettivo di fondo è fronteggiare i pericoli che corrono la sicurezza alimentare e la lealtà commerciale, con particolare riguardo alle modalità di organizzazione delle filiere operanti su scala allargata del mercato. Il fuoco della riforma è posto sulle caratteristiche di qualità del prodotto, essenziali per le scelte di acquisto, in modo da riuscire a sanzionare la frode nei confronti del destinatario ultimo del prodotto stesso. Così valorizzando – oltre che la sua provenienza – anche l’identità del cibo: componente decisiva ed insostituibile della cultura (dei territori, delle comunità locali, dei piccoli produttori) che oggi definisce il patrimonio agroalimentare. Nel contempo, innescando un meccanismo che consenta di superare le difficoltà derivanti dalle disposizioni europee che non vedono di buon occhio una normativa specifica sul «Made in», posto che secondo la Commissione Ue tale previsione equivarrebbe a limitare la libera circolazione delle merci. Mentre è evidente che il «Made in Italy» è per la nostra economia – non solo agroalimentare – un patrimonio irrinunziabile di immensa rilevanza, che va salvaguardato in ogni modo anche nel quadro delle direttive europee.
Tra le molteplici novità del progetto della Commissione, si segnala l’introduzione di nuovi reati: ad esempio il disastro sanitario, l’omesso ritiro di sostanze alimentari concretamente pericolose e l’agropirateria (sintetizzabile nella formula «non criminalità organizzata, ma organizzazione criminale», capace di preordinare strutture e mezzi per frodi alimentari). Importante è poi l’estensione dei casi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, quale strumento di prevenzione dei reati alimentari (prevedendo nel contempo modelli di organizzazione delle imprese che facilitino l’adempimento degli obblighi relativi). Da ricordare ancora la norma che inserisce pure i reati alimentari tra quelli che devono essere processualmente trattati lungo «corsie preferenziali»: un modo efficace e concreto per sottolineare l’importanza prioritaria della salute dei consumatori e dell’ordinato svolgimento dell’economia.
Concludendo a mo’ di slogan, scopo ultimo della riforma è la creazione di un diritto penale della «vita quotidiana»: capace cioè di accompagnare il consumatore «finale» (sul quale, ripetiamolo, si incentra la tutela dei prodotti contro le frodi) fino allo scaffale degli alimenti, rafforzandone la fiducia. Capace di accompagnarlo con una etichetta «narrante», che riveli con precisione tutto ciò – origine, filiera e contenuto – che si deve sapere per non comprare un olio diverso da quello che si vuol far credere.
La Stampa – 12 novembre 2015