Sono previste per questo sabato manifestazioni in tutto il mondo per protestare contro gli accordi di libero scambio. Dimostrazioni sono previste anche in Italia e in Europa, proprio mentre la Commissione europea sta trattando con gli Stati Uniti una difficile intesa commerciale. La tentazione del protezionismo sta segnando molte correnti all’interno del Parlamento europeo, dividendo non solo i partiti tra loro ma anche gli stessi movimenti politici, in particolare quello socialista.
Il negoziato è segnato da tendenze protezionistiche. I temi più controversi sono l’agricoltura, gli standard di sicurezza, gli arbitrati giudiziari. Una volta raggiunto l’accordo – l’obiettivo è fine anno – l’intesa dovrà essere approvata dal Parlamento europeo. Un dibattito in commissione questa settimana ha messo in luce le molte differenze. I gruppi politici hanno presentato quasi 900 emendamenti a una presa di posizione che dovrebbe essere approvata in plenaria prima della pausa estiva.
Mentre a favore dell’accordo sono tendenzialmente i Popolari e i Liberali, chiaramente contrari sono i Verdi, la sinistra radicale, la destra nazionalista. Incerti i Socialisti, ormai ago della bilancia in un prossimo voto, una volta raggiunto un accordo tra i due blocchi. Durante il dibattito di questa settimana, Marietje Schaake, una deputata liberale olandese, si è lamentata: «I negoziatori dovrebbero essere più energici nell’accelerare le trattative per abolire le barriere commerciali».
Di tutt’altro avviso un’altra deputata olandese, questa volta ecologista, Anne-Marie Mineur, che ha messo l’accento «sulle regole burocratiche che verranno create dall’accordo (…) tali da rendere più difficile il raggiungimento degli obiettivi climatici europei». Altrettanto negativa l’italiana Tiziana Beghin, del Movimento 5 Stelle, che ha sottolineato i rischi per le aziende europee le quali subiranno la concorrenza di gruppi americani avantaggiati da costi energetici assai minori.
Molte delegazioni nazionali rumoreggiano. Gli inglesi temono di indebolire i loro standards sanitari; gli austriaci guardano con sospetto agli ISDS (investor-state-dispute-settlements); i francesi vogliono difendere l’agricoltura; gli italiani intendono proteggere la loro specializzazione nell’alimentare. Particolarmente interessante è la posizione (o meglio le posizioni) dei Socialisti, divisi in particolare all’idea di accettare forme di arbitrato privato nel gestire controversie tra aziende e governi.
L’istituto giuridico è voluto dagli USA, ma molti in Europa sono contrari per paura di dare troppo potere alle ricche multinazionali americane. In marzo, il gruppo socialista ha approvato una dichiarazione in cui dice che gli ISDS «non sono necessari». Dietro alla formula semantica – ambigua e che lascia la porta aperta a nuovi compromessi – si nascondono parecchie divisioni, alle quali la delegazione italiana del Partito Democratico non è immune, a dispetto di un governo a Roma favorevole all’intesa.
Mentre molti parlamentari del PD sono favorevoli al libero scambio e considerano l’ISDS un male minore da regolamentare, altri sono contrari. Sergio Cofferati è tra questi, preoccupato da un accordo, ha detto a EU News, che «porterà a un inevitabile abbassamento dei nostri diritti». Tra i socialisti, sono contrari agli ISDS i francesi, i belgi, gli inglesi, gli austriaci. Più aperti sono i paesi mediterranei, mentre è ambigua la delegazione tedesca, nota Alessia Mosca, un’altra deputata del PD.
«In generale – aggiunge la signora Mosca – mi chiedo se l’ISDS sia un tema in sé o un cavallo di Troia che nasconde posizioni di chiusura sull’accordo di libero scambio». Lo sconquasso economico prima, la crisi economica dopo hanno scoperto i nervi di molti in Europa. La Commissione europea ha difficoltà a convincere le pubbliche opinioni dei benefici del libero commercio, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel preme invece per chiudere le trattative entro fine anno.
I negoziati tra le parti vanno però a rilento, e la scadenza è in dubbio. La nona tornata di negoziati è prevista a New York la settimana prossima, tra il 20 e il 24 aprile. Entrambe le parti sono consapevoli del fatto che l’accordo è l’ultima occasione per imporre nel prossimo futuro a livello mondiale gli standard tecnici occidentali. Tra un decennio più o meno, sia gli Stati Uniti che l’Unione europea dovranno fare i conti con la forza tecnologica ed economica di alcuni paesi emergenti, in primo luogo la Cina.
Il Sole 24 Ore – 17 aprile 2015