«Il 2015 è un anno cruciale, visto che sono appena cambiate Commissione e Parlamento europeo e che nel 2016 si voterà per la presidenza Usa. Dobbiamo evitare di mettere una data fissa per l’accordo Ttip ma allo stesso tempo dobbiamo concentrarci per firmarlo». Anthony Luzzato Gardner, ambasciatore Usa presso l’Ue, vuole stringere i tempi per il Transatlantic Trade and Investment Pact, il mega-trattato Usa-Ue che dovrebbe creare la maggior area di libero scambio al mondo.
Alla conferenza internazionale dell’Aspen che si è conclusa ieri a Torino negoziatori europei – per l’Italia il viceministro con delega al Commercio estero Carlo Calenda – e statunitensi condividono qualche frustrazione per un trattato che molti di loro pensavano di concludere entro l’anno e che invece si allontana nel tempo. Trattato più lontano e anche più contestato, almeno in Europa, dove la sigla Ttip sta sollevando molti timori su temi come la sicurezza alimentare, la protezione dei dati e la clausola Isds che consente alle multinazionali di ricorrere a un arbitrato in caso le leggi di uno Stato firmatario vadano contro i loro interessi.
Per questo Gardner, che venerdì ha anche incontrato il presidente di Fca John Elkann per discutere di relazioni transatlantiche, ritiene che «si debba far spiegare anche alle aziende, prima di tutto quelle piccole e medie, quali effetti positivi potrà avere per loro il Ttip». Del resto, sottolinea, «questo non è un accordo solo sull’export, ma anche un accordo che consente una sensibile riduzione del costo dei fattori produttivi. Da qui possono venire grandi vantaggi, ad esempio con la riduzione del costo dell’energia per le vostre imprese».
Per Calenda fissare in anticipo la data del 2014, che non verrà rispettata, è stato un errore, «ma sarebbe un errore anche dire che serve un accordo ambizioso perché in questo modo si rischia di non arrivare a nulla». Meglio essere pragmatici, allora: «La proposta del governo italiano è di affrontare fondamentalmente tre capitoli come accesso ai mercati con minori dazi e meno ostacoli per gli appalti pubblici, standard comuni per i prodotti e regole sulla proprietà intellettuale e le indicazioni geografiche», sui quali è più facile trovare un accordo che non – ad esempio – sul tema controverso degli Ogm.
Anche Dan Mullay, il capo negoziatore della missione Usa, preme sui vantaggi per i sistemi produttivi dei due continenti. «L’accordo – spiega – deve basarsi sulla sua logica economica: noi intendiamo aumentare il commercio tra Europa e Stati Uniti e gli investimenti per sostenere un’occupazione maggiore e di migliore qualità». Ma lancia anche un avvertimento all’asse Washington-Bruxelles in un mondo dove Russia e Cina puntano ad emergere: «Siamo molto consci della dimensione strategica di questo accordo. Usa ed Europa condividono alcuni valori. Dunque dobbiamo negoziare un accordo che rifletta questi valori e ci aiuti a negoziare norme globali che includano il rispetto del diritto, la trasparenza, la partecipazione e la responsabilità. Se non lo facciamo noi lo faranno altri Paesi che non condividono questi valori».
La Stampa – 16 novembre 2014