E’ sempre più una corsa ad ostacoli il negoziato in vista di un accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti in un contesto economico e politico molto incerto. Un ottavo round di negoziati si è concluso recentemente a Bruxelles. Dietro alle prese di posizione di principio e all’ottimismo di facciata, molto diplomatici sono cauti sul futuro di un pacchetto negoziale che dovrà essere approvato dal Parlamento europeo, così come dai ventotto governi europei.
Superate le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e sancito l’arrivo di una nuova Commissione europea a Bruxelles, le ultime settimane sono state utilizzate dalle parti per rilanciare le trattative e mostrare alle pubbliche opinioni nazionali un nuovo inizio nel negoziato. L’iniziativa risale al 2013, ed è stata segnata da proteste in molti paesi. Il contesto di crisi economica, soprattutto in Europa, e la paura di un annacquamento delle regole di sicurezza sono solo alcuni degli aspetti che complicano la partita.
Nell’ultimo round negoziale, le parti hanno discusso di accesso al mercato, di aspetti regolamentari, di norme. Lo stesso faranno in due nuovi round di trattative entro la pausa estiva, ha spiegato qui a Bruxelles all’inizio del mese Ignacio Garcia Bercero, il capo negoziatore per la Commissione europea. L’accordo di libero scambio tra i due grandi blocchi è particolarmente ambizioso perché non riguarda solo le tariffe doganali, ma anche l’uniformizzazione degli standard regolamentari.
«Non è un aspetto banale – spiega un diplomatico –. A confronto ci sono due grandi blocchi che sanno perfettamente che la loro intesa su questo fronte segnerà il prossimo futuro a livello mondiale. È probabilmente l’ultima volta in cui l’Occidente potrà imporre al resto del mondo i suoi standard tecnologici. Alla prossima tornata, le economie occidentali dovranno fare i conti con la forza d’urto dei paesi emergenti che da qui ad allora avranno fatto passi avanti e vorranno difendere i loro standard».
Proprio questo aspetto rallenta non poco un negoziato comunque complesso. Non è l’unico motivo, tuttavia, per cui le trattative vanno a rilento. Gli Stati Uniti sono impegnati nel discutere di un partenariato commerciale con la regione Asia-Pacifico. Il rapporto con l’Europa è importante, ma il paese è evidentemente proiettato verso Oriente. Peraltro, i due blocchi stanno affrontando il tema di una intesa commerciale euro-americana da posizioni diverse.
Mentre gli Stati Uniti hanno ripreso a crescere da un punto di vista economico, e sono relativamente forti in una prospettiva politica, l’Unione Europea continua a fare i conti con una grave crisi debitoria, con lo sconquasso greco, con una situazione geopolitica che alle sue frontiere è particolarmente incerta. La guerra civile in Ucraina e l’instabilità politica in Libia anch’esse indeboliscono la posizione negoziale di Bruxelles nei confronti di Washington; per non parlare delle divisioni nazionali.
L’idea di un accordo di libero scambio euro-americana è stata segnata fin dall’inizio da critiche e pregiudizi, nonostante uno studio indipendente del Centre for Economic Policy Research di Londra stimi che in Europa l’intesa possa creare valore aggiunto per 119 miliardi di euro all’anno. Nei sondaggi, l’intesa commerciale è poco popolare. Non piace l’idea che un arbitrato possa decidere un diverbio tra una società privata e un ente pubblico.
La questione verrà discussa a tempo debito, spiega Bruxelles. In privato molti ammettono che le divisioni nazionali indeboliscono la posizione europea. Il nuovo trattato dovrà essere approvato non solo dal Consiglio a Bruxelles e dal Parlamento a Strasburgo, ma anche da molti parlamenti dei Ventotto. Per sminare il campo da incomprensioni e convincere le opinioni pubbliche, il commissario al Commercio Cecilia Malmström ha già iniziato un giro dei paesi europei.
Asse franco-tedesco contro l’arbitrato. La clausola sulle dispute mette a rischio l’intesa
del ”braccio di ferro” tra Stati Uniti e Germania sul mantenere o meno, nell’accordo di libero scambio Usa-Ue in discussione, la “clausola Isds” – che permetterebbe a un’impresa di trascinare in giudizio davanti a un arbitro uno Stato – potrebbe avere effetti inattesi sull’asiago, il parmigiano, le pere e il prosciutto di Parma.
Nessun timore di Ogm o di polli al cloro. La questione è squisitamente politica.
«Da settimane – ha spiegato il vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda – Francia, e soprattutto Germania, hanno cominciato a ragionare sull’opportunità di stralciare la clausola, voluta dagli Usa e contenuta in molti altri accordi bilaterali che quegli stessi Paesi europei hanno tra di loro o con Stati extra Ue. Una clausola che Bruxelles ha accettato di inserire nella discussione. Tornare indietro darà alla controparte la sensazione che l’Europa non è un interlocutore affidabile. E il rischio concreto è che, come contromisura, gli Usa ci chiedano di levare dall’accordo capitoli cui alcuni partner europei sono molto sensibili, ad esempio, le indicazioni geografiche di origine, che tutelano le nostre eccellenze e consentono un maggiore contrasto all’Italian Sounding ».
Sul punto, il testo dell’accordo sarebbe sulla falsa riga di quanto già firmato a ottobre con il Canada: riconoscimento del marchio e coesistenza, sugli scaffali dei supermercati degli “originali” e delle”imitazioni”. Una questione su cui l’interesse, anche italiano, non intende essere vittima dei veti incrociati. Anche perchè se la tutela delle indicazioni geografiche dovesse uscire dal negoziato, difficilmente potrebbe esser fatta valere in un futuro tavolo con Cina e Giappone.
Ma non sono solo le Igp a stare a cuorre all’Italia. Con il balzo della ripresa Usa, il calo dell’euro sul dollaro e del prezzo del petrolio, l’Italia ha aumentato, nel 2014, di oltre il 10% l’export verso gli Usa, toccando il recordo di 30 miliardi di euro: meccanica, tessile, arredo, alimentare e aerospazio.
«Gli Usa – ha spiegato Luigi Scordamaglia (presidente di Federalimentare) – riservano formidabili spazi di penetrazione. Più dei dazi, i maggiori freni arrivano dalle barriere sul settore vinicolo, dalle misure sanitarie e fitosanitarie che limitano i prodotti vegetali, lattiero-caseari, salumi, olio d’oliva, i divieti di importazione della carne bovina».
Conferma anche Lisa Ferrarini, vice presidente di Confindustria per l’Europa: «Vedo benefici generali incredibili per il nostro export da questo accordo, che ci permetterebbe soprattutto di mantenere il “baricentro” dei flussi di investimento, commerciali e degli standard tecnici sull’Atlantico, anzichè sul Pacifico. Se l’accordo naufragasse, sarebbe l’Europa a perdere, perchè gli Usa guardebbero alla Cina. Con le norme sanitarie Usa in vigore, oggi, ogni container di salumi viene analizzato e rischia di stare in dogana dai 15 giorni a 1 mese e mezzo».
Altro importante capitolo, dopo le Igp e l’abbattimento delle barriere tariffarie e non , sono le norme sugli appalti. Oggi solo il 30% degli appalti Usa (e solo quelli federali) è accessibile. «Poter aprire alle società di ingegneria e infrastrutture italiane il 100% degli appalti federali – ha aggiunto Calenda – darebbe un grande respiro al nostro engineering di alta qualità».
Barack Obama preme per chiudere il mandato con l’accordo firmato. Ma fine 2015 sembra irrealistico. «C’è la volontà di accelerare nel 2015 – ha concluso Calenda – . L’Italia ha sempre supportato la Commissione. Ma se ci fossero più ombre che luci, cercheremo di imporre una linea negoziale diversa: lavorare dossier per dossier, implementando l’accordo man mano si raggiunge l’intesa. Compresa la tutela delle eccellenze agroalimentari».
Secondo uno studio commissionato dal Governo nel 2013, Prometeia ha stimato, a 3 anni dall’accordo, 5,6 miliardi di euro di Pil aggiuntivo per l’Italia e circa 30mila nuovi posti di lavoro.
Il Sole 24 Ore – 20 febbraio 2015