Padova, aperto un fascicolo per accertare la correttezza di incarichi e orari. Sono l’ultima ruota del carro. Non si possono opporre all’ordine di ricoprire ruoli massacranti in ospedale o di sorreggere sulle loro giovani spalle pesi che meriterebbero maggiore esperienza.
Con lo spiacevole rischio che, se qualcosa poi va storto, a pagare siano quasi sempre loro. Nel vero senso della parola: con condanne di un tribunale, che in alcuni casi hanno messo a rischio l’inizio di una carriera.
Ora però qualcuno ha deciso di accendere un faro sul fitto sottobosco di medici specializzandi che popola l’ospedale di Padova. Perché al quarto piano del palazzo di Giustizia, il sostituto procuratore Sergio Dini ha aperto un’inchiesta conoscitiva – per ora senza indagati e senza un capo d’imputazione – per accertare la liceità dell’utilizzo degli specializzandi in ospedale nelle ore notturne e oltre i limiti di orario. L’inchiesta è appena nata, ma potrebbe portare a galla diverse situazioni mai uscite alla luce del sole. A svolgere le indagini sono i carabinieri del Nas, che da alcuni giorni hanno iniziato a sentire i tirocinanti, costretti a coprire da soli i turni di guardia in corsia e a confrontarsi con le emergenze più disparate: a volte per scelta della stessa scuola di specializzazione, a volte per carenza di organici strutturati nel reparto.
È questo il primo passo mosso dagli inquirenti che poi, una volta conclusi i primi interrogatori, si dedicheranno all’acquisizione dei registri dell’ospedale, per verificare i turni e le presenze di specialisti e specializzandi. E capire in quali casi gli studenti delle scuole di formazione vengono lasciati soli e quali i casi in cui ad affiancarli c’è uno specialista dipendente e strutturato, come vorrebbe il regolamento di ogni scuola di formazione medica.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha portato all’apertura del fascicolo, è stata l’inchiesta penale che vede indagato con l’accusa di lesioni colpose per un parto finito male il dottor Roberto Laganara, medico strutturato della Clinica Ginecologica di Padova. Il dottore, a sentire la denuncia sporta dallo stesso direttore della Clinica Ginecologica, Giovanni Battista Nardelli, non sarebbe stato sempre presente in sala parto e avrebbe rimandato di parecchie ore la decisione su un taglio cesareo d’urgenza, con la consegeunza che il feto è nato con gravi problemi cerebrali. Quelle che però hanno attirato l’attenzione della magistratura sono i passi della denuncia in cui il direttore della Clinica Ginecologica spiega come il medico strutturato fosse stato chiamato più volte dagli specializzandi a intervenire. Ma non si sarebbe presentato fino alle 23. Un caso questo molto simile ad altri finiti poi a processo. E che vedono alla sbarra sia il medico strutturato (quasi sempre assente nei momenti decisivi), sia i tirocinanti.
A tal proposito il sostituto procuratore Dini, nell’aprire il fascicolo d’inchiesta, ha acquisito una lettera della scuola di anestesia rianimazione e terapia intensiva dell’Università di Padova, scritta l’11 luglio 2008 e indirizzata ai vertici di Università e ospedale. I tre fogli sono venuti alla luce il 3 febbraio 2011 durante l’udienza del processo per la morte di Tatiana Vitacchio Abrahamsohn, spirata a 71 anni il 30 luglio 2008 per una intempestiva estubazione e la «successiva reintubazione con posizionamento del tubo in esofago». Processo che ha portato alla condanna a 6 mesi dell’allora specializzando Giampiero Gallo e all’assoluzione del cardiologo Giulio Rizzoli. Nella lettera, ancora attualissima e firmata dallo stesso Gallo nove giorni prima dei fatti, è raccontato il disagio di giovani medici tirocinanti chiamati ad «assumere delle responsabilità, umane e professionali, sproporzionate alla loro preparazione ed esperienza». Condite da turni massacranti, con un monte ore quasi impossibile da sopportare, ma che «ha un’importanza trascurabile di fronte al carico di responsabilità che pesa sul medico specializzando». Chiamato «senza diretto tutoraggio – si legge ancora nel documento – ad assumere decisioni critiche in materia di trattamento di pazienti estremamente complessi e delicati». Con la paura che «il mantenimento di tale modello organizzativo configuri una situazione di grave rischio per i pazienti».
«E’ un problema che sentiamo molto, la nostra è una situazione giuridica particolare. Siamo medici abilitati ma non specializzati – spiegano dalla sede della Mespad, l’associazione specializzandi di Padova -. Ci chiedono di acquisire autonomia medica progressivamente. Ma nessuno spiega i tempi e spesso ci viene detto che quell’autonomia ce l’abbiamo da un momento all’altro».
Corriere del Veneto – 12 ottobre 2012