Paola Emila Cicerone, il Fatto alimentare. La nostra indagine sulla produzione di uova – e sul destino dei pulcini maschi delle ovaiole, soppressi perché considerati poco adatti a essere allevati – ci ha catapultati nel mondo degli allevamenti dei polli da carne. Una realtà complessa, fatta di animali con tempi di accrescimento molto differenziati – da 35 a 120 giorni – e con caratteristiche diverse.
Si tratta di un argomento pressoché ignoto ai consumatori, che in genere immaginano i polli intenti a razzolare nel cortile di una fattoria, oppure chiusi in gabbie situati all’interno di enormi capannoni. Queste immagini suggestive non corrispondono alla tipologia di allevamento tipica dei polli da carne, che possono crescere in capannoni chiusi o aperto seguendo varie modalità (vedi tabella in basso). L’unica cosa certa è che non vengono allevati in batteria (sistema consentito sino al 2012 solo per le galline ovaiole, ora sostituito dalle “gabbie arricchite” che risultano più grandi e meno scomode).
“Premesso che tutte le razze allevate – spiega Monica Guarino Amato esperta di pollame all’interno del Centro di ricerca per le produzioni delle carni del CREA – sia tradizionali che commerciali rientrano nella specie del pollo domestico (Gallus Gallus domesticus), bisogna differenziare tra “razze autoctone”, cresciute nei piccoli allevamenti rurali o familiari, che rappresentano però un mercato di nicchia, e i “polli ibridi commerciali”, ottenuti dall’incrocio di varie specie e caratterizzati dall’avere una rapida velocità di crescita e quindi essere molto produttivi per un’azienda agricola.
Il protagonista indiscusso del settore è denominato broiler, termine inglese riferito a un animale a rapido accrescimento. Si tratta di una vera “macchina da carne” che aumenta di peso a vista d’occhio in poche settimane a fronte di una quantità relativamente contenuta di mangime. Gli incroci utilizzati in questo caso sono in genere ROSS o Cobb.
La vita degli animali varia molto in relazione alla velocità di accrescimento ma soprattutto in funzione della destinazione commerciale:
– i polli utilizzati nelle rosticcerie per essere venduti cotti sono macellati dopo circa 35 giorni e hanno un peso inferiore ai 2 Kg;
– il pollo da vendere intero viene macellato intorno ai 40 giorni, quando raggiunge un peso intorno ai 2,8 kg,
– i polli destinati ad essere porzionati e venduti utilizzando soprattutto le cosce, il petto e le ali sono più grossi e vivono qualche giorno in più.
“Il 98% circa dei polli venduti nel nostro paese sono broiler”, ricorda UNA Italia, l’associazione delle aziende produttrici di carne e uova. “La selezione genetica moderna ha accelerato il processo, mantenendo comunque lo stesso criterio di base: ottimizzare l’impiego di risorse per migliorare i risultati produttivi. Il settore avicolo – prosegue la nota dell’associazione – risponde alla domanda del mercato che oggi chiede una carne tenera, ricca in proteine e povera in grassi, di alta qualità nutrizionale e a un prezzo accessibile”. In Italia, fanno notare gli addetti ai lavori, il pollo da carne è allevato più a lungo rispetto agli altri paesi europei (in genere si tratta di 5-10 giorni in più su un ciclo di vita di 35/55 giorni) e questo comporta un peso medio alla macellazione più elevato.
Se gli animali a rapido accrescimento conquistano la stragrande maggioranza del mercato, esiste una quota per il cosiddetto prodotto tradizionale. In molti casi si tratta di incroci commerciali a medio o lento accrescimento come il Collo nudo o il Kabir. In questa categoria di polli da carne troviamo anche i maschi delle galline ovaiole che non vengono soppressi il giorno dopo la nascita (stiamo parlando dei “Golden” i maschi delle ovaiole bionde o i “Livornese” i maschi delle ovaiole bianche) venduti nei supermercati Coop nella linea di prodotti Fior Fiore. Ci sono anche razze a crescita lenta nostrane o autoctone come il pollo Romagnolo o il Valdarnese diventati in qualche caso presidi Slow Food o marchi tutelati dalla regione di origine. “Questi polli – spiega Guarino Amato – sono generalmente allevati come estensivo al coperto, e vengono macellati come minimo dopo 70 giorni, ma spesso arrivano anche a 110 giorni per raggiungere un peso accettabile”. Il periodo di allevamento e la velocità di crescita sono alcuni dei fattori che incidono sul prezzo di vendita.
A decretare il successo del pollo broiler a rapido accrescimento sono le esigenze del mercato che vuole animali con un petto più sviluppato. Secondo l’UNA Italia. “Il 60% della carne di pollo consumata in Italia è commercializzata sotto forma di petto, cosce o fusi, più di un quarto viene utilizzata per preparati (hamburger, spiedini, bocconcini) e solo il 12% riguarda il pollo intero. La stragrande maggioranza dei clienti compra petto o altre parti del pollo, oppure i lavorati”, conferma Nicola Brina responsabile per le carni della direzione qualità Coop Italia. “I consumatori sono sempre più orientati verso prodotti ad alto contenuto di servizio, insaporiti o addirittura già cotti e solo da riattivare”.
Gli allevatori sottolineano come i tempi di accrescimento lenti richiedono investimenti maggiori visto che per produrre 1 Kg di carne da una razza a rapido accrescimento servono 1,8 kg di mangime e 3 litri d’acqua mentre per gli animali a crescita lenta servono 5 kg di mangime e 10 litri di acqua. Si tratta però di dati che non convincono fino in fondo “Ci sono però razze autoctone a lento accrescimento, come il Collo Nudo, che rendono di più”, osserva Guarino Amato. “Ma soprattutto, è difficile paragonare due prodotti con caratteristiche diverse”. In altri termini, prosegue la ricercatrice, “se la carne è destinata alla grande distribuzione, che vuole solo petto e alcune parti, l’allevamento di animali della razze Collo Nudo è fallimentare, ma se si accede a un mercato alternativo può essere vincente”. Anche perché le differenze dal punto di vista del gusto, e non solo, sono molto evidenti e gli intenditori lo sanno. Ma questo lo spiegheremo nei prossimi articoli della nostra inchiesta.
25 febbraio 2016