Settore agricolo, industria agroalimentare e distribuzione. La filiera in Italia è tutt’altro che efficiente. In base ai dati elaborati dal Barilla Center for Food Nutrition, che in un paper ha analizzato tra l’altro anche gli impatti economici, gli sprechi sono enormi.
Per il settore agricolo, le cifre ammontano a quasi 10 miliardi di euro, se si considera il prezzo di mercato. Si tratta di 163 euro per persona. Includendo nel calcolo anche le conseguenze negative in termini di inquinamento ambientale, la stima è superiore a 10 miliardi di euro. E ancora. Valorizzando anche il costo opportunità della superficie di terreno impiegata nella produzione di derrate non consumate (cioè il valore almeno pari al miglior impiego alternativo del terreno come per esempio l’edificabilità), la stima aumenta ulteriormente.
Proseguendo lungo la filiera, l’impatto economico dello spreco riconducibile all’industria alimentare è di quasi 1 miliardo che salgono a 1,2 se si include nel calcolo la valorizzazione delle emissione di CO2. Infine, nel comparto distributivo lo spreco è quantificato in poco più di 1,5 miliardi.
Ma non finisce qui. In Italia, in base a dati raccolti nel 2011, sono rimasti nei campi circa 1,5 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, pari al 2,73% della produzione totale. Nel settore della distribuzione ogni anno vengono buttate via 270.776 tonnellate di prodotti alimentari che sarebbero perfettamente consumabili.
«Il tema dello spreco – spiega Roberto Ciati, direttore Relazioni scientifiche e sostenibilità di Barilla — in generale è legato a due momenti: lungo la filiera e quell finale degli individui». Ci sono studi che ci dicono che la produzione attuale di prodotti alimentari sarebbe sufficiente per avere 4.000 calorie a testa al giorno, vale a dire il doppio del necessario, ma a causa di inefficienze e di perdite attualmente ne arrivano poco più di duemila.
Quindi, per il problema dell’innalzamento demografico il tema non è produrre di più, ma produrre e distribuire meglio. Qualsiasi processo ha al suo interno inefficienze e quindi perdite, ma è migliorabile. E qui sta il punto. Bisogna entrare nelle varie filiere. Come? «La soluzione è fare sistema, mettere a fattore comune le esperienze. Un esempio è la Francia, dove gli sprechi sono inferiori rispetto agli altri Paesi europei. Questo perché ha una produzione più organizzata e centralizzata, con meno soggetti, e le innovazioni sono introdotte più facilmente. In Italia, invece, il settore è più parcellizzato e non si mettono a sistema le efficienze», dice ancora Ciati.
Per sconfiggere il paradosso dello spreco di cibo, il Barilla Centre for Food and Nutrition è favorevole a un accordo mondiale sul cibo in vista dell’Expo di Milano. «L’Expo è una grande occasione, proviamoci – dice Ciati – . Ispirandoci all’esempio del Protocollo di Kyoto, lanciato nel 1997 per salvaguardare l’ambiente, l’Expo italiana può essere l’occasione per sottoscrivere un trattato che ponga le basi per un futuro alimentare sostenibile».
Corriere Economia – 25 novembre 2013