Un anno in più per i professionisti della sanità per esser costretti a sottoscrivere obbligatoriamente una polizza rc professionale per i danni conseguenti all’esercizio dell’attività, così come previsto dal decreto Balduzzi.
La polizza, secondo quanto previsto dal nuovo testo della legge così come modificato dal decreto legge cosiddetto del fare (decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, convertito in legge in via definitiva lo scorso 9 agosto dalla Camera), dovrà infatti essere stipulata entro il 13 agosto 2014. Una boccata d’ossigeno, secondo i medici, che già oggi sono costretti, per precauzione, a sottoscrivere polizze assicurative molto onerose.
Secondo quanto recentemente denunciato dal Collegio italiano dei chirurghi, sul fronte polizze per il medico si parla di un esborso medio di 14 mila euro annui per l’attività privata con un massimale di 1.5 milioni di euro. Questi premi elevati discenderebbero, secondo il Cic, dall’aumento esponenziale dei contenziosi (del 31,5% dal 2005 al 2010) e quindi dei risarcimenti in particolare per ostetrici – ginecologi, ortopedici, chirurghi generali e di specialità.
«Meglio sarebbe», dicono i chirurghi, «definire i confini dell’atto medico, per ridistribuire in modo equo la responsabilità tra struttura sanitaria e singolo professionista, facendo attenzione a “scaricare” le colpe in modo univoco sul medico e sarebbe utile in ogni caso stabilire un tetto massimo per gli stessi risarcimenti». Per questo i medici si dicono disponibili a fornire il loro apporto nella fase di approvazione di un’apposita legge sul cosiddetto rischio clinico, che le camere dovrebbero varare entro quest’anno. «Ed è entro questo lasso di tempo che insieme si deve lavorare per trovare le giuste soluzioni a tutela di tutti», dicono i professionisti.
Decreto Balduzzi, un’occasione persa per ridisegnare i principi di responsabilità
Il decreto Balduzzi ha il grande merito di aver affrontato un tema non più differibile: quello delle risposte normative al problema della c.d. «medicina difensiva», commenta Francesco D’Alessandro professore associato di Diritto penale commerciale, all’Università Cattolica del S.
Cuore di Milano. «Lasciato essenzialmente da solo, nell’ambito di un sistema di allocazione della responsabilità che tende, tanto in sede civile quanto in sede penale, a imputare alla colpa del sanitario ogni evento avverso che si verifichi nell’esercizio dell’attività medica, il professionista tende a mettere in pratica delle strategie di comportamento finalizzate più alla propria futura tutela legale che non alle effettive necessità del paziente. Il decreto Balduzzi ha provato a farsi carico di questo problema, e per questo va salutato senz’altro positivamente, anche se alcune soluzioni non sono pienamente convincenti e altre suscitano profonde perplessità.
Domanda. Quali sono le ragioni che hanno portato a questa paradossale situazione in cui nessuno più assicura una struttura ospedaliera o un medico?
Risposta. Le ragioni sono quelle legate alla progressiva «esplosione» della casistica giudiziaria legata all’esercizio delle professioni sanitarie: oggi, specialmente in alcuni settori particolarmente esposti al rischio di contenzioso, un medico che inizi a lavorare deve mettere nel conto di dover affrontare, nel corso della propria carriera, svariate controversie legali connesse alla propria attività professionale. Le crescenti aspettative nei confronti della medicina fanno sì che, quando le cose non vanno bene, si tenda a ricorrere alle vie legali, a caccia di colpe del professionista. Così, i costi delle assicurazioni lievitano a dismisura, al punto che interi settori sono oggi in difficoltà nel trovare adeguata copertura per la responsabilità civile connessa all’esercizio dell’attività professionale.
D. Quali interventi si sarebbero potuti introdurre nel decreto?
R. Il vero punto debole del decreto è quello di non aver dato vita a un intervento «di sistema», che passasse attraverso una complessiva rivisitazione degli assetti di responsabilità, tanto delle strutture, quanto dei singoli professionisti. Essendosi concentrato per lo più sul solo profilo assicurativo, introducendo norme in tema di responsabilità poco meditate e scollegate, il decreto si è facilmente prestato alle critiche di quanti vi hanno ravvisato non pochi profili di irragionevolezza, denunciando l’introduzione di inammissibili norme di favore per la sola classe medica.
D. Che fare?
R. Una recente ricerca, sul tema della «medicina difensiva», realizzata da studiosi del Centro Studi Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano, ha segnalato come l’introduzione di percorsi di giustizia riparativa in ambito sanitario potrebbe rappresentare un modo efficace per fornire risposte adeguate alle attese di giustizia dei cittadini e sterilizzare le paure dei sanitari legate al rischio personale di contenzioso legale.
È mancata una coerenza d’insieme nella normativa
Difficile esprimere un giudizio sulla bontà delle scelte legislative in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria senza dare conto di alcune criticità interpretative: è in dubbio la tenuta costituzionale della norma». Giulio Ponzanelli, avvocato presso Bonelli Erede Pappalardo di Milano e ordinario di istituzioni di diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, traccia un quadro d’insieme molto complesso. «La questione di legittimità costituzionale della legge, in ambito penale, è già stata sollevata dal Tribunale di Milano, e certamente anche in ambito civile l’interprete deve confrontarsi con almeno due dati normativi non particolarmente chiari come testimoniano anche le prime pronunce di merito sul punto: il riferimento all’art. 2043 c.c. e la determinazione del danno, in uno con la delineazione dell’ambito applicativo stesso dell’art. 3, primo comma.
Inoltre, la stessa estensione dell’applicazione degli artt. 138 e 139 Cod. ass. priv. al settore sanitario, che certamente si spiega nei termini di una politica di contenimento dei costi, pone una serie di problemi: innanzitutto i due settori quello della Rc auto e della Rc sanitaria non paiono presentare quell’omogeneità di presupposti e condizioni che potrebbero giustificare una sorta di parallelismo che sia anche eventualmente virtuoso. Allo stato, dunque, più dubbi che certezze e questo certamente non giova».
«Poco si è investito », aggiunge Ponzanelli, «in termini di gestione dei rischi e prevenzione del contenzioso da parte delle strutture sanitarie che paiono collocarsi sullo sfondo della riforma, se si esclude l’art. 3-bis che invita genericamente le strutture sanitarie ad attivarsi in tal senso, ma senza oneri aggiuntivi a carico del sistema. Non sono, pertanto, previsti specifici percorsi alternativi di gestione del conflitto anche in una prospettiva di attenuazione e prevenzione della conflittualità medesima spesso generata dal fallimento in sé della c.d. alleanza terapeutica tra medico e paziente». «La sensazione che è la riforma, per il profili attinenti alla responsabilità sanitaria, civile in particolare, non abbia quel respiro ampio e quella visione d’insieme che forse sarebbe stato legittimo attendersi».
Quali sono le ragioni che hanno portato a questa paradossale situazione in cui nessuno assicura più una struttura ospedaliera o un medico? Secondo l’avvocato Rosanna Breda, ricercatore di Istituzioni diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Sudi di Brescia, le ragioni sono innumerevoli. «Il mutamento della percezione stessa della salute e della cura. Certamente vi è stata alla base anche la difficoltà da parte delle strutture sanitarie medesime di gestire la propria rischiosità attraverso politiche di governo e prevenzione dei rischi che assai verosimilmente avrebbero giovato anche sotto il profilo assicurativo. Le compagnie assicurative, da parte loro, hanno reagito in prima battuta con una fuga dal mercato o con un innalzamento dei premi faticando a creare sinergie virtuose nei termini di cui sopra. Esiguo anche lo spazio riservato nel corso del tempo a meccanismi alternativi di gestione della conflittualità e di attenuazione della logica antagonistica che caratterizza i rapporti tra tutti gli attori istituzionali: medici, pazienti ma anche strutture, e compagnie assicurative».
Italia Oggi Sette – 19 agosto 2013