Dal dopoguerra siamo stati abituati, come figli, a essere più ricchi dei nostri genitori. Ma nell’ultimo decennio il trend di crescita del reddito delle famiglie si è bruscamente interrotto: in 25 paesi sviluppati solo il 30% delle famiglie dispone di un reddito reale maggiore rispetto a dieci anni fa. Un fenomeno, quello del reddito reale stagnante o persino in calo, che tra il 1993 e il 2005 interessava meno di 10 milioni di individui, divenuti ben 540 milioni tra il 2005 e il 2014.
È questa la fotografia scattata dall’ultimo studio del McKinsey Global Institute “Poorer than their parents? Flat or falling incomes in advanced economies”. Se guardiamo all’Italia, nel 2014 la percentuale delle famiglie con redditi invariati o in calo si attestava al 97% rispetto all’81% degli Stati Uniti, al 70% della Gran Bretagna e dell’Olanda, al 63% della Francia e al 20% della Svezia. I più colpiti da questo fenomeno risultano essere i laureati under 40.
Le cause di questa frenata dei redditi nelle economie avanzate sono diverse. Soprattutto in Europa occidentale scontiamo ancora gli effetti della crisi finanziaria del 2008, che ha portato alla recessione più grave e duratura dal dopoguerra. Ma non è solo colpa della crisi. Si aggiungono infatti trend di lungo termine, tra cui la crescita economica bassa o negativa, l’aumento della vita media e il calo del tasso di fertilità (che determinano un decremento della popolazione attiva) e le nuove dinamiche del mercato del lavoro, caratterizzato da una domanda sempre minore di figure professionali poco specializzate. In aggiunta, le politiche di rigore nella gestione della spesa pubblica adottate in risposta alla crisi, con l’aumento della pressione fiscale e la riduzione dei piani di welfare, hanno ulteriormente aggravato la situazione in alcuni paesi, e fra questi l’Italia.
Nell’ipotesi di scenario meno favorevole delineata nello studio, in cui una bassa crescita della produttività e dell’occupazione nelle economie avanzate dovesse persistere anche nel prossimo decennio, la situazione si aggraverebbe con preoccupanti implicazioni sulla stabilità globale.
Per sbloccare questo pericoloso circolo vizioso, pubblico e privato dovranno agire sinergicamente per accrescere produttività e occupazione, compensando in tal modo trend penalizzanti di medio periodo. Sarà necessario rimuovere le barriere all’imprenditorialità, stimolare gli investimenti in infrastrutture e quelli in ricerca & sviluppo e in innovazione. Nel mercato del lavoro si dovrà continuare ad adoperarsi per facilitare in modo strutturale una migliore transizione scuola-lavoro, promuovere l’accesso all’occupazione (soprattutto a favore di giovani, donne e ultrasessantenni) e sostenere la mobilità e i benefici per il periodo lavorativo e post-lavorativo.
La crescita ha bisogno di una visione sistemica di lungo periodo, di maggiore interconnessione e integrazione socio-economica, fiscale e finanziaria tra i diversi paesi; ma ha anche bisogno di meccanismi più giusti di condivisione della ricchezza, per garantire stabilità e migliori prospettive di vita a ciascuno di noi.
Questo è ancora più vero e urgente nel momento in cui la Brexit sta mettendo in discussione i valori e i benefici di un’Europa unita. Scambi aperti tra paesi, infatti, generano una percentuale di crescita sempre maggiore: le analisi McKinsey stimano che i flussi globali – che contribuiscono oggi per il 15-25% alla crescita del Pil mondiale – potrebbero quasi triplicare entro il 2025, spinti dallo sviluppo dei paesi emergenti e delle megacities, dalla digitalizzazione e dalla conseguente, inevitabile integrazione dei mercati. Una società aperta, inclusiva ed equa può valorizzare le mille opportunità di un mondo che cambierà di più nei prossimi 50 anni di quanto sia cambiato negli ultimi 5 secoli. Bisogna muovere, con determinazione e costanza, in questa direzione.
Managing Partner
McKinsey & Company Mediterraneo
Leonardo Totaro – Il Sole 24 Ore – 25 luglio 2016