Cristina Bassi, il Giornale. Cambiano le abitudini degli italiani a tavola. Nel nostro Paese sono più di un milione i vegani, coloro cioè che non mangiano alimenti di origine animale: ne carne, ne pesce e neppure derivati come latte, formaggio e uova. Crescono le aziende che vendono prodotti «cruelty free», mentre si apre il dibattito sulle conseguenze di una simile dieta anche sui bambini.
Quando ho un vegano a cena mi vorrei ammazzare. Sono “dei grandissimi rompiscatole». Così Alba Parietti ha catapultato il popolo vegano sulle pagine di gossip, etichettandolo come una specie di setta di fanatici. Ma con buona pace della signora Parietti gli italiani che non mangiano alimenti di origine animale, cioè né carne ne pesce e neppure derivati come latte, formaggio e uova, sono in continuo aumento. Secondo l’indagine presentata a maggio 2015 da Gik-Eurisko in collaborazione con l’azienda Tre Valli e l’Associazione vegani italiani onlus e Vegan Ok Network, le persone in ltalia trai 18 ei64 anni che per motivi etici o salutistici hanno scelto questo regime dietetico sono quasi un milione e 150mila (il3%).
Il nostro Paese è secondo nel mondo solo all’India. I vegetariani sono il 6%, mentre crudisti e fruttariani sfiorano il 2%. Boom di vegani vuoi dire boom della vegan economy. La domanda di prodotti cruelty-free aumenta e le aziende adeguano l’offerta. Così negozi e supermercati.
Renata Balducci, dal 2012 presidente di Assovegan, fa un bilancio: «Da tempo il mercato intercetta una tendenza in evoluzione. Oggi con il marchio etico Vegan Ok certifichiamo ben 200 aziende (che vendono articoli che non comportino “l’uccisione, la detenzione o lo sfruttamento di animali”, ndr). La gamma di prodotti è molto ampia e comprende non solo alimenti, ma anche cosmetici, abiti, cibo per cani. Per quanto riguarda la grande distribuzione, molti supermercati hanno gamme di prodotti dedicate e cercano ogni giorno nuovi fornitori. Per il consumatore vegano è tutto più semplice». Non solo. Spesso anche chi non si è convertito al veganesimo prova a mangiare responsabile per un periodo, oppure è solo curioso. E il bacino si allarga. Sempre secondo Eurisko, quattro italiani su cinque conoscono gli alimenti a base di soia e il40% li consuma abitualmente o li ha consumati almeno una volta negli ultimi sei mesi. L’acquirente tipo viene dal NordOvest, abita in città e occupa posizioni dirigenziali.
Lamaggior parte sono donne (58%) tra i 45 e i 54 anni (28%) e tanti hanno una laurea (17%). Ben il 54% ha deciso per la spesa «verde» nell’ultimo anno. Ma quanto costano brioche cruelty freee, braciole vegetali? Ll vegano è considerato un cliente di nicchia ma disposto a spendere. «A lungo termine i costi vengono ammortizzati da quello che si risparmia in spese per la salute», assicurano molti di loro.
Federfauna, la confederazione degli allevatori, mette l’accento sui costi alti di questo stile di vita. E su quello che battezza come «marketing animalista». Un sistema che specula vendendo a prezzi maggiori di quelli di came e pesce prodotti le cui materie prime – legumi, cereali, soia – hanno costi irrisori all’ingrosso. Ecco la prova dello scontrino, fatta in un supermercato milanese. Un tubetto da 150 grammi di maionese di soia vale 2,39 euro, quello di un marchio conosciuto da 170 grammi è a 1,25 euro. Due cotolette vegetali surgelate costano2,95 euro, cinque di quelle di pollo si comprano a 5,09 euro. Un litro di latte fresco di soia vale 2,39 euro, un litro di quello di mucca si vende a 1,19euro. Ci sono anche i seitan burger (due per 2,89 euro), il tofu (2,89 euro per 360 grammi), l’affettato vegetale (100 grammi a 3,29 euro). Il conto sale se ci si rivolge ai negozi biologici o specializzati.
Chi mangia vegano però non cista al luogo comune della dieta da ricchi. «ln famiglia siamo in due e spendiamo 180 euro al mese per mangiare – spiega Renata Balducci, vegana pura da 16 anni -. I prodotti non sono sempre cari, frutta e verdura di stagione non lo sono. E poi cucino molto: certo i pasti pronti sono cari, ma è così anche per quelli comuni. Nelcomplesso un vegano spende meno di un onnivoro». Neppure Michela Vittoria Brambilla, ex ministro che da molti anni evita i prodotti animali, ha dubbi. «Non è vero che i prodotti per vegetariani e vegani costano troppo – afferma la deputata di Forza Italia che ha presentato proposte di legge per introdurre la scelta veg nelle mense scolastiche e ospedaliere e per diffondere la cultura green nelle scuole -, io li consumo abitualmente. È risaputo che la carne costa più degli altri alimenti. In più ormai questa offerta si è affermata e la scelta è ampia». C’è stata anche un’evoluzione: piatti dall’aspetto poco invitante e dal gusto non proprio appetitoso sono diventati ingredienti ben presentati e saporiti da preparare in mille modi. Chi ha fiutato il business non si limita a immettere sul mercato nuovi articoli. C’è chi al grido di «govegan» ha intrapreso strade originali o si è inventato una professione. T-shirt, scarpe e creme «animai free» sono facili da trovare non solo on line. «Universo vegano» ha aperto in franchising una ventina di fast food, mentre entro l’anno arriverà dalla Germania «Veganz», il supermarket dedicato.
Roberta Bartocci, biologa nutrizionista, nel 2011 è diventata Vegcoach, con tanto di marchio registrato. Viene da una famiglia di allevatori e macellai, è veganada 15 anni e segue chi vuole fare il salto. «Il primo passo è cambiare ordine di idee. Ciò che di solito consideriamo un contorno, le verdure,diventa la base dell’ alimentazione. Cambiare stile di vita non vuol dire solo eliminare certi cibi, ma sostituirli e reimpostare le nostre giornate, assumendo cinque gruppi fondamentali: cereali sempre diversi, legumi, frutta secca, frutta e verdura».
Come vanno le richieste? «Bene. Il settore è in crescita esponenziale. Non lavoro solo con vegani o aspiranti vegani, ma anche con aziende e ristoranti che vogliono adottare un menu ad hoc». A questo si aggiunge la nuova frontiera dei meat substitutes», i sostituti della carne di seconda generazione, che negli Usa attira gli investimenti dei big della Silicon Valley e che in Europa ha il bacino maggiore. In arrivo Impossible Foods che produce hamburger e salumi con un composto del ferro, che da ai cibi gusto, consistenza e colore simili a quelli del manzo. E Hampton Creek, che ricava uova da un mix di piselli, semi di girasole e olio di colza. C’è il rovescio della medaglia. Il successo rischia di trasformare la rivoluzione vegana non solo in una moda ma anche nell’ennesimo trend consumistico. «Le scelte etiche sono del tutto personali – sottolinea Michela Vittoria Brambilla -, non si impongono ne si adottano per moda. Dobbiamo tutti andare verso questo stile di vita, per l’orrore cui sono sottoposti gli animali negli allevamenti intesivi, per la nostra salute e per tutelare l’ambiente. L’Italia è già più avanti di molti Paesi e vegetariani e vegani si diffonderanno sempre di più grazie alle nuove generazioni». È d’accordo Renata Balducci: «Se qualcuno intraprende il veganesimo per moda? Certo. Ma se si fa questa scelta con consapevolezza e compassione, non si torna indietro. E se si fa per emulazione, magari poi si comincia a stare meglio e si approfondisce l’argomento. Ci sono quelli che improvvisano e poi tornano onnivori, ma sono di più le persone che si aggiungono alle nostre file. Basti pensare che nel 2010 eravamo appena 700mila. È che noi vegani siamo contagiosi».
E adesso i genitori vogliono nelle mense scolastiche anche i «menu verdi»
Il manifesto dei Genitori vegani è chiaro: «Abbiamo a cuore la salute e il benessere di “tutti” gli animali, compresi i nostri bimbi». Mamma e papà vegan crescono figli vegan, senza eccezioni. «Un genitore deve scegliere il regime alimentare del proprio bambino e se vive animal free , anche il piccolo lo farà», sottolinea Roberta Bartocci, biologa nutrizionista vegana e autrice dell’e-book Svezzamento 6-24 mesi . La dieta priva di alimenti di origine animale è consigliata dai pediatri vegani alle donne in gravidanza, ai neonati e in tutte le fasi della crescita. Una delle battaglie dei genitori vegani è per ottenere menu cruelty free nelle mense scolastiche.
Non tutti gli esperti però sono d’accordo. «Non sono prevenuta nei confronti della scelta vegana – interviene Manuela Pastore, dietista clinica all’istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) -. Tuttavia ho molti dubbi sull’imposizione di questo regime alimentare ai bambini, come sull’applicazione ad altre categorie particolari: anziani, sportivi, persone con gravi patologie». I motivi? «Si tratta di una dieta non equilibrata – continua Pastore – e non ci sono studi scientifici validati che escludano ripercussioni sulla crescita. Esistono dei rischi». La dietista clinica mette in guardia genitori e aspiranti vegani: «Una dieta equilibrata dovrebbe includere tutti i gruppi alimentari e il veganesimo comporta alcune carenze, come quelle di ferro, vitamine del gruppo B, B12 in particolare, calcio. Questi componenti possono essere assunti sottoforma di integratori, ma nessuno può sostituire il valore nutrizionale e le sinergie che i singoli nutrienti acquisiscono in un alimento e in associazione agli altri di un pasto equilibrato. I rischi per la salute sono collegati a tali carenze: dall’anemia all’osteoporosi». La conclusione: «Mancano studi accreditati sui benefici della dieta vegana, compresa la presunta prevenzione di malattie, mentre sono noti quelli sui vantaggi di una dieta più completa come la mediterranea. Lascerei la massima libertà sulle scelte personali, ma un’alimentazione priva di ingredienti animali deve essere condotta sotto stretto controllo medico, in particolare per alcune categorie a rischio».
Sul fronte opposto Bartocci, che precisa: «I nutrizionisti “generalisti” spesso non conoscono bene il nostro mondo». E continua: «Il veganesimo è adatto a tutti, nessuna categoria è esclusa. Fa bene e previene alcune patologie, tra cui certe forme di cancro e di diabete. Per quanto riguarda i più piccoli, chiediamoci piuttosto se quelli che mangiano carne sono sani e interroghiamoci su quelli obesi o con il colesterolo alto». La nutrizionista vegana aggiunge che «la letteratura scientifica ha sdoganato questo tipo di alimentazione in età pediatrica, perché dà un apporto che soddisfa i Larn (i Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti, ndr )». Anche Bartocci raccomanda l’aiuto di uno specialista: «La dieta deve essere ben pianificata e i piccoli devono essere seguiti. Ma i vegani si informano, si rivolgono a professionisti e monitorano la propria salute. Per i genitori questo è doppiamente vero». Infine assicura: «I bambini vegan crescono esattamente come gli altri, solo che si ammalano meno delle patologie di origine infiammatoria tipiche della loro età, come otiti e faringiti».
Il Giornale – 22 giugno 2015