Una scossa per l’agroalimentare. Arriva dal nuovo piano per l’export del made Italy (varato nello Sblocca Italia) la strategia di attacco dei mercati esteri con una operazione di promozione straordinaria e misure di attrazione degli investimenti. Il progetto promosso dallo Sviluppo economico col ministero delle Politiche agricole (dotazione di circa 130 milioni) ha uno snodo cruciale nell’agroalimentare diventato sempre di più negli anni la bandiera delle produzioni nazionali e per il quale il budget si aggira sui 20 milioni all’anno per il 2015 e 2016. «Registriamo linee di tendenza dell’export interessantissime – spiega il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che ha lavorato sodo in questi mesi con i colleghi dello Sviluppo economico Federica Guidi e Carlo Calenda – e i numeri lo confermano.
Nel 2010 abbiamo esportato per 28 miliardi, 33 miliardi nel 2013 e ora l’obiettivo ambizioso è di arrivare a quota 50 miliardi nel 2020. In 7 anni contiamo di salire di 15 miliardi». Quattro le linee d’azione per dare carburante all’export agroalimentare. Si parte da un intervento di valorizzazione delle eccellenze con la promozione dei marchi di qualità. La seconda misura è centrata sulla penetrazione dei prodotti con particolare riferimento alle reti distributive. Quindi si punta sulla sperimentazione di un segno distintivo unico, un brand che rappresenti tutto il made in Italy agroalimentare. «Abbiamo studiato il modello francese – dice Martina – e riteniamo efficace un’operazione a 360 gradi per orientare la comunicazione su un segno distintivo di riconoscibilità. Un’iniziativa di sistema paese che sarà pronta a maggio e avrà il banco di prova all’Expo 2015».
Quarta leva strategica è la lotta all’italian sounding con una campagna di forte contrasto sui mercati dove il fenomeno è più rilevante. Il ministro Martina aveva posto la questione in primo piano nei suoi incontri negli Stati Uniti. E ora, anche in vista di un effetto rimbalzo che potrebbe arrivare dalla crisi russa, serra le fila.
«Una linea d’azione importante – sottolinea Martina – riguarda anche il web: nel mondo ci sono 2 miliardi di utenti internet e abbiamo rilevato una ricerca diffusa della parola chiave made in Italy. In Giappone la ricerca di contenuti legati ai nostri prodotti è cresciuta del 44%, del 36% in India. E sono sempre più numerose le aziende italiane presenti sul web. Un impegno a sostenere l’e commerce confermato anche dal credito d’imposta del 40% introdotto con Campolibero nella legge per la competitività e su cui abbiamo già avuto riscontri in particolare da parte di piccole e medie imprese agro». Politiche agricole e Sviluppo economico stanno studiando i mercati per individuare così una prima fascia di quelli da valorizzare come Usa,Giappone, Canada, le aree emergenti (Cina, Messico, Turchia ed Emirati Arabi) e le nuove opportunità, dall’Iran alla Nigeria. «L’obiettivo è diversificare per lavorare su un menù ampio di reti che consenta di gestire passaggi stretti come l’attuale emergenza in Russia». Una priorità saranno gli interventi per lo sviluppo di piattaforme logisticodistributive che deve far leva su partnership di catene italiane con la Gdo estera. «Il nuovo brand – sottolinea Martina – dovrà avere una duplice finalità, da un lato catturare l’attenzione con un’immagine coordinata e di garanzia e dall’altro, attraverso partnership commerciali, essere certi che le reti distributive mondiali vendano vero prodotto made in Italy».
Il Sole 24 Ore – 30 agosto 2014